Riassumere 85 anni di storia dell’Unione Sovietica attraverso le immagini: questa la sfida lanciata da Mario Peliti, direttore della Galleria del Cembalo. Come ha raccontato ad Alias Laura Leonelli, curatrice con Michele Buonomo dell’esposizione dei disegni di Rozalija Rabinovic, «questa manifestazione ospita una rara eccezione per la Galleria del Cembalo», riferendosi proprio ai lavori dell’artista da lei indagata. «I disegni di Rabinovic riassumono e anticipano il tema portato avanti dalle altre due esposizioni che compongono questo bellissimo triumvirato sovietico», prosegue Leonelli. Rozalija Rabinovic nasce nel 1895, nella Russia zarista pre-rivoluzionaria, e morirà solo nel 1988, pochi mesi prima della perestrojka e della fine dell’esperienza socialista sovietica. «In un certo senso, possiamo dire che la vita e i lavori di Rabinovic sono le immagini simboliche dell’intera epopea sovietica, della sua nascita e della sua fine, dei suoi momenti più alti e dei suoi fallimenti più evidenti», aggiunge Leonelli. «Rabinovic attraversa il periodo delle avanguardie, esplode come artista di propaganda durante gli anni di Stalin, svanisce negli anni 50 per poi riaffacciarsi alla politica nell’ultimo decennio di vita». La testimonianza di Leonelli, che molto deve all’incoraggiamento di Buonomo («Vedendo i disegni, acquistati in un mercato delle pulci di Mosca, fu lui ad ’intimarmi’ di tornare in Russia e ripercorrere la vita e le opere di Rozalija») attesta come la storia russa sia una narrazione di negazioni e concatenazioni: quelle stesse simbologie e immagini che Danila Tkachenko, i cui lavori sono parte del trittico esposto, ha aggiornato nella loro decadenza finale, nella loro sopravvivenza post-costruttivista. Tecnicamente è stato solo il curatore dell’esposizione di Danila Tkachenko, Restricted Areas, ma alla prova dei fatti il contributo di Davide Monteleone, 41enne fotografo e storyteller con una vasta conoscenza ed esperienza diretta della realtà russa, è una storia nella storia che merita di essere approfondita.
Da quanto tempo ti occupi della Russia e della sua imponente storia?
Da molto. La mia professione, quella vera oltre al curatore – ruolo in cui mi sono sperimentato più di recente, è quella di fotografo. Sono stato corrispondente per la rivista Contrasto in Russia dal 2001, per oltre 14 anni, e lì ho avuto la possibilità di essere un osservatore privilegiato.
Come sei giunto a curare quest’esposizione all’interno della Trilogia voluta da Peliti?
Si è trattato di un percorso perverso. Danila è stato un mio studente, nel periodo in cui insegnavo presso la Scuola di fotografia Rodchenko di Mosca. Era uno dei fotografi più giovani e interessanti che mi sia capitato di vedere, conoscere e seguire, sia per la giovane età sia per l’innovativo modo che aveva di rappresentare la storia del suo Paese. L’ho fatto conoscere a Mario Peliti, che oltretutto è un editore, uno dei quattro in giuria dell’European Publisher Award, un premio di editoria fotografica. A Mario avevo presentato il lavoro di Danila per farne un libro; il progetto vinse e il libro uscirà il prossimo mese, ma la cosa fondamentale è che Mario s’innamorò degli spunti di Danila e mi chiese di curarne l’esposizione nella mostra.
Quali pensi siano i meriti maggiori del lavoro di Tkachenko?
Le foto di Danila assumono un duplice valore. Da una parte, un valore estetico, per la loro semplicità: sono fotografie in still life, dove reperti cristallizzati nella storia tornano vivi grazie al contrasto con le condizioni atmosferiche in cui Danilo ha scelto di scattare le foto, quelle che in russo si chiamano metel, ovvero le tormente di neve. C’è poi un alto valore documentario in quegli scatti. Si tratta di posti difficili da raggiungere, spesso tolti e poi ripristinati nelle cartine sovietiche; luoghi di nessuno ma al tempo stesso simboli dell’utopia della conquista sovietica.