Donald Trump, che è un attaccante e sa solo giocare all’attacco, non potrà che portare ai massimi livelli di volgarità il duello con Hillary Clinton, già dal dibattito tv previsto stanotte a Saint Louis. Le sue parole di autogiustificazione a caldo, dopo la diffusione del video da parte del WP, hanno confermato come il tycoon newyorkese sia in affanno e infantilmente privo di credibilità quando è costretto a giocare in difesa. Quindi vedremo un Trump senza freni contro Clinton.

Un Trump solo contro tutti. Già, perché la linea inevitabile dell’escalation dell’insulto e del trivio nei confronti della rivale democratica propone la vera questione che più impensierisce gli strateghi del miliardario dal ciuffo biondo. In quanti sono disposti ad associarsi ancora al candidato repubblicano?

A parte i pezzi grossi dell’establishment repubblicano che già da tempo gliel’hanno giurata, dai Bush a Romney, adesso sono in tanti che ad alta voce o in privato fanno sapere che non sono disposti a sostenerlo pubblicamente, quando non ammettono chiaro e tondo che provano vergogna a farsi vedere al suo fianco. Quel che è peggio, per The Donald, è che con i repubblicani in rivolta, ci sono molti donor danarosi, che stanno già disertando il campo trumpista, proprio nella fase finale della campagna elettorale, quella in cui i soldi per la pubblicità elettorale televisiva possono fare la differenza, specie negli stati ballerini. E Hillary, si sa, è ben dotata di fondi elettorali.

Trump si sta avvitando in una spirale forse fatale. Certo, non è detto che stia perdendo consensi nei serbatoi elettorali dove oramai la sua popolarità è ben solida e nei quali, anche nell’elettorato ultraconservatore cristiano, l’odio per Hillary rende veniale anche il più imperdonabile dei tanti peccati commessi dall’impenitente The Donald. Il problema è che d’ora in poi solo una catastrofe nel campo clintoniano può consentirgli di fare breccia nell’elettorato ancora indeciso degli stati in bilico. Chi conquista quei voti vince. Specie, ovviamente, nell’elettorato femminile.

Da notare, peraltro, che le donne costituiscono il settore più importante dei votanti, anche perché – secondo numerose ricerche – influiscono spesso sul voto dei mariti. A maggior ragione il punto di vista della moglie peserà sulla scelta del marito in presenza di un candidato che sproloquia con parolacce e si pavoneggia delle sue conquiste femminili. Un voto a Trump sarà considerato in molte famiglie anche come un’ammissione di complicità maschile, con un maschio che si vanta pure di avere insidiato una donna sposata.

È la stessa complicità che è già rimproverata ai candidati repubblicani alla camera e al senato che non prendono pubblicamente le distanze da Trump. È la linea su cui battono i candidati democratici nei confronti dei loro avversari, specie nei collegi dove i repubblicani sono più a rischio, e sono spesso esponenti della destra più bigotta.

Con Trump che si sta giocando la presidenza c’è dunque un partito che pensava di riconquistare la Casa Bianca, dopo gli otto anni di Obama, non certo con lui, ma con un Bush o con un Rubio, e che poi si è dovuta acconciare a un cavallo pazzo incontrollabile. E che adesso rischia di perdere pure la maggioranza alla camera e al senato. Ecco perché diventa credibile l’incredibile. E cioè la possibilità che Trump si faccia da parte e che la candidatura passi al suo vice, Mike Pence, forte anche del successo conseguito nel dibattito televisivo contro il vice di Hillary, Tom Kaine. Se ne parla molto, anche da prima dello scandalo rivelato dal Washington Post. Pence è sotto pressione. Ha già sostituito Trump in un comizio dello speaker della camera Paul Ryan, che si è detto «disgustato» dalle frasi rivelate di Trump e ha chiesto al candidato presidenziale la cortesia di non farsi proprio più vedere nel suo Wisconsin, una presenza che metterebbe a repentaglio la sua elezione. Pence ha finora evitato di commentare le rivelazioni su Trump, ma pare sia deliziato all’idea di subentrargli.
Lui. Trump, non ci pensa proprio a lasciare il campo:

«Dimenticatevelo, non è da me, possibilità zero, non mi sono mai ritirato in vita mia, vi do la mia parola che non lascerò mai il campo». Così al Washington Post.

Sarebbe un passaggio senza precedenti. E probabilmente inutile ai fine della conquista della Casa Bianca. Tardivo, in ogni caso. Ma, almeno, forse, potrebbe mettere il Grand Old Party al riparo dalla catastrofe, costituita dal binomio di una vittoria a valanga di Hillary Clinton e della perdita della maggioranza al Congresso. In ogni caso se Trump non abbandonerà la corsa, il tema della sua uscita non lascerà invece il campo, indebolendo ulteriormente la sua posizione e via via, in assenza di un qualche segno di risalita, sarà la classica profezia che si autoavvera.