A neanche 48 ore dalla trasferta palermitana, Virginia Raggi incappa in un altro infortunio. Si ritira l’assessore al bilancio in pectore, l’esperto di evasione fiscale in forze alla Corte dei conti Salvatore Tutino. Il suo passo indietro viene annunciato in tarda mattinata, proprio alla vigilia della sua nomina. È una rinuncia, quella di Tutino, che ha un forte sapore politico perché chiama in causa esplicitamente i nodi cruciali, i problemi evocati da questi primi 101 giorni di amministrazione grillina a Roma e i temi organizzativi all’ordine del giorno dopo la kermesse di Palermo. A cominciare dalle tensioni all’interno del Movimento 5 Stelle.

«Lascio per il clima che c’è all’interno del partito che dovrebbe sostenere la giunta di Roma», dice chiaro e tondo. «È necessario avere una copertura politica per fare un lavoro da tecnico – spiega ancora Tutino – I miei interlocutori mi avevano dato tutte le garanzie. Ma poi sono passati venti giorni. È da venti giorni che sono sulla graticola. Mi sono trovato in mezzo ad una partita più grande di me. Una cosa che casualmente poteva riguardare qualsiasi altra persona». L’economista mette in discussione i principi meritocratici rivendicati dai grillini: «Non è un fatto di curriculum o di capacità, ma sono fatti legati alle beghe politiche, in un contesto in cui tutti sono in grado di parlare e di sostenere falsità». «Sono beghe tra loro, se le risolvano tra di loro», conclude Tutino, che si lascia sfuggire un’ultima rasoiata: «L’unico timore che ho, come cittadino di Roma, è che la situazione sia davvero difficile».

Il no di Tutino segue la porta sbattuta da Marcello Minenna e la revoca dell’incarico, non ancora pubblicata, all’ex procuratore della Corte dei conti Raffaele De Dominicis, reo di «non rispettare i requisiti di M5S», ovvero di essere indagato per abuso d’ufficio. L’ennesima tegola sulla giunta finisce per fornire la prima occasione di prova delle conseguenze del «passo in avanti» di Beppe Grillo a Palermo, dove si è proclamato di nuovo «capo politico» del M5S. I vertici fanno di tutto per frenare i dissidi interni, cercando di riprendere il bandolo della matassa e mettere a tacere le polemiche tra le diverse anime. Così, nel primo pomeriggio Grillo comunica via tweet ai suoi la direttiva: «Ringrazio di cuore tutti i portavoce M5S che non faranno né dichiarazioni né interviste su Roma nei prossimi giorni. Grazie di cuore a tutti». Bocche cucite, dunque.

Tutto tace nei gruppi in Parlamento, dove si trovano alcuni dei critici di Virginia Raggi che avrebbero impallinato la nomina di Tutino, in primis Carla Ruocco e Roberto Fico che avevano ricordato nei giorni scorsi la contestata nomina dell’ispettore in Corte dei conti.

«No comment» anche dall’aula Giulio Cesare del Campidoglio, dove è riunito il consiglio comunale e dove le opposizioni ne approfittano per pungolare i pentastellati. Il Pd, ad esempio, presentando una mozione che propone l’adesione del Comune alla marcia per la pace Perugia-Assisi non perde l’occasione di mettere il dito nella piaga e proporre che «sia l’assessore al bilancio a portare il gonfalone». Raggi incassa il colpo e minimizza: «Tutino era tra le persone che abbiamo visto, tra i possibili candidati. A breve avrete un nome».

Ma a furia di sfogliare la margherita dei papabili la scelta dell’assessore, e della figura dirimente che dovrebbe occuparsi della difficile situazione del bilancio romano, si fa sempre più complicata. In serata, Raggi annuncia via Facebook l’archiviazione della sua posizione nell’inchiesta nella quale era indagata per falso ideologico sull’omissione della dichiarazione di una consulenza prestata all’Asl di Civitavecchia. «Il tempo è galantuomo – scrive la sindaca – Prima del ballottaggio mi avevano lanciato l’ultima goccia di fango. Erano arrivati ad attaccarmi sul mio lavoro perché altri argomenti non ne avevano».