Bertha è stata uccisa perché si opponeva al progetto idroelettrico di Agua Zarca, sul fiume Gualcarque, tra le regioni di Intibucà e Santa Barbara, nei pressi di un’area protetta, uno dei 13 progetti idroelettrici previsti nel territorio del popolo Lenca, di cui Berta era leader riconosciuta a livello internazionale.

Agua Zarca venne approvato nel 2013-2014 e prevede una concessione di 20 anni per produrre 21.3 MW per alimentare il comparto minerario del paese, un settore in grande espansione soprattutto da quando l’allora presidente Zelaya venne deposto con un colpo di stato, nel 2009. Come tanti altri impianti idroelettrici viene proposto come investimento per la produzione di energia “pulita” e quindi come contributo alla cosiddetta «mitigazione» dei cambiamenti climatici, e come modalità per la riduzione delle emissioni di carbonio nel quadro del Meccanismo di Sviluppo Pulito, il Clean Development Mechanism o Cdm. Un approccio di mercato riaffermato con forza nell’accordo sul Clima di Parigi recentemente entrato in vigore e che non prevede norme vincolanti per il rispetto dei diritti umani e dei popoli indigeni.

Agua Zarca è parte di un progetto regionale di integrazione, il Plan Mesoamerica sostenuto dall’Alleanza per la Prosperità del Triangolo Nord, promossa da Barack Obama e dall’amministrazione Usa. Fin dall’inizio il popolo Lenca si è opposto al progetto, che rischia di intaccare irreversibilmente gli ecosistemi del fiume Gualarque, un fiume sacro per il popolo di origine Maya, che lo considera il lascito del Cacique Lempira, capo della resistenza alla colonizzazione spagnola.

L’omicidio di Bertha segue quello di altri tre attivisti Lenca che si opponevano alla diga costruita dalla Desa, impresa con forti legami con l’esercito. In passato il progetto era sostenuto anche dalla Banca Mondiale, che poi si ritirò in seguito ai rischi per i popoli indigeni e l’ambiente, e da Sinohydro. Quest’impresa cinese opera in varie parti del mondo, compresa l’Etiopia, in progetti assai controversi e che spesso generano una spirale drammatica di repressione quali la diga di Gibe III, assieme all’italiana Salini.

Le grandi dighe stanno lasciando in America Centrale e altrove una tragica scia di sangue e repressione. In Guatemala, dove il ricordo del massacro di centinaia di Maya Achiì per far spazio alla diga di Chixoy è ancora vivo, ed altri attivisti indigeni sono stati uccisi o perseguitati in seguito all’opposizione a impianti idroelettrici.

Emblematico il caso della diga di Santa Rita, registrato come progetto Cdm e funestato da gravi violazioni dei diritti dei popoli Q’eqchies di Cobán, Chisec and Raxruha. O nella vicina Panama dove il popolo Ngabe Bugle, si oppone alla diga di Barro Blanco , finanziata anch’essa, come Agua Zarca, dalla Fma olandese e anch’esso registrato come progetto Cdm. Barro Blanco, sbarrerà le acque del fiume Tabasarà inondando le loro terre legalmente riconosciute, obiettivo nel maggio scorso di un assalto delle forze di polizia nel corso del quale vennero arrestati 90 tra donne, giovani e bambini.

Si calcola che una gran parte dei 59 popoli indigeni del Centroamerica viva oggi sotto la minaccia delle forze di sicurezza a causa della loro opposizione a progetti di sviluppo infrastrutturale, sfruttamento di idrocarburi e risorse minerarie.

L’ultimo rapporto di global Witness sui crimini contro i difensori della terra pubblicato nel marzo scorso ha registrato un bilancio drammatico in tutta la regione.

Dal 2010 al 2015 in Honduras sono stati assassinati 109 difensori della terra, 33 in Messico, 32 in Guatemala, 1 in Salvador, 15 in Nicaragua, 2 in Costarica.