Può capitare che in una calda mattina di luglio, a Milano, una signora incroci per strada un anziano malfermo e con il bastone. Può succedere che un improvviso colpo di vento apra il lungo abito blu della passante e le scopra una coscia. E può pure accadere che il vecchietto, che potrebbe essere il nonno della suddetta, d’istinto le dica: «Troppo spacco!». Allora lei, per nulla impressionata, d’istinto replica: «Davvero? Dovrei abbottonarmi?», e continua imperterrita a camminare senza chiudere un solo bottone dell’abito. Lui, un poco turbato, si gira a guardarla e borbotta qualcosa.

A questo siparietto ho assistito con i miei occhi e ho cominciato a fare una serie di considerazioni sul vedo, non vedo, intravedo che gli abiti estivi e la moda suggeriscono al mondo femminile, al simbolico che c’è dietro la scelta di un abbigliamento e al modo in cui lo si indossa, alla reazione di chi guarda i corpi improvvisamente svelati o esposti.

Da alcuni anni sono tornati di gran moda gli short, quei calzoncini microscopici che negli anni Settanta venivano chiamati, con meno pruderie e qualche buona ragione, hot pants. Chi non è più giovanissimo di sicuro ricorda quella pubblicità che inquadrava un sedere vestito con una striminzita braghetta di jeans dai bordi sfilacciati che scoprivano i glutei fino a metà. Lo slogan irriverente di quella pubblicità recitava «Chi mi ama mi segua», poco dopo ne uscì un’altra che, sulla foto di un bacino fasciato da jeans slacciati, diceva «Non avrai altro jeans al di fuori di me!». Apriti cielo! L’Osservatore romano tuonò, Pasolini se la prese sia con lo slogan che con l’ipocrisia della Chiesa, e nel frattempo in tante abbiamo indossato quei jeans, consapevoli di scatenare reazioni e di attirare gli sguardi perché quello era il gioco. Dentro di noi, sapevamo di sfidare con sfacciata malizia le convenzioni e quella provocazione era esaltante. Era come fare uno sberleffo ai benpensanti.

Non so se anche le ragazze di oggi indossino gli short con lo stesso spirito di allora, quel che è certo è che si vede una tale quantità di calzoncini inguinali e aderentissimi che quasi non ci si fa più caso. Mi chiedo come faccia a sopravvivere il vecchietto con il bastone. Se si turba per una coscia scoperta per qualche secondo, come fa a sopravvivere alla marea di gambe al vento che di sicuro ogni giorno incrocia per strada? Una cosa é certa, uno così vive malissimo perché passa la vita a scandalizzarsi, a essere contro qualcosa, e rimuginare in opposizione invece che rallegrarsi per il bello che vede, quando lo vede. Verrebbe da dire Peggio per lui, se non sospettassi che uno così abbia addolorato non solo la propria vita, ma anche quella di chi gli sta attorno.

Molto più aggressivo è stato il commento emerso da una conversazione carpita fra uomini in un bar. Quattro maschi seduti a un tavolino guardano il passeggio. Transita un gruppo di ragazze con le gambe scoperte e uno fa: «…E poi si lamentano se uno le stupra». Bingo! Eccolo il pensiero assassino, quello che uccide ogni autocritica, quello che sta alla base di ogni autoassoluzione o giustificazione, la serpe che sotto sotto fa pensare, e talvolta dire: «Se le hanno messo le mani addosso, se l’è cercata». La cosa peggiore è che questi non avevano più di ottant’anni come il vecchietto del «Troppo spacco!», ma cinquanta di meno, due generazioni più giovani, gente nata negli anni Ottanta, non nei Trenta del passato secolo. I primi sono cresciuti nel berlusconismo in ascesa, i secondi con Mussolini al potere, ma l’indole machista è la stessa e uguale l’intento: è lui a stabilire il confine del lecito. Viene proprio da dire: Viva gli hot pants.

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