Fan Jinghui era un consulente di 50 anni, aveva lavorato nel mondo della pubblicità con una sua azienda, chiusa nel 2003. Poi, senza che siano stati forniti ulteriori dettagli dai media cinesi, lo ritroviamo in Siria, dove viene rapito dall’Isis. È di mercoledì pomeriggio la notizia della sua «esecuzione» da parte degli uomini del Califfato.

La novità è stata confermata da Pechino, con reazioni sdegnate e forti, che portano però la Cina in una sorta di nuovo dilemma. La morte per mano dell’Isis di un cinese, riporta in primo piano il «problema interno» cinese della regione nord occidentale del Xinjiang, dove da tempo operano organizzazioni separatiste di quella che un tempo era la maggioranza musulmana della zona. È di questi giorni la notizia secondo la quale le forze di sicurezza cinesi del Xinjiang avrebbero ucciso 17 persone, tra cui donne e bambini, accusate di essere coinvolte in un attentato in una miniera di carbone di due mesi fa, che avrebbe causato almeno 50 morti, quasi tutti di etnia han. Si tratta di questioni aperte che pongono la Cina di fronte a dubbi sulla propria tattica di non intervento nelle zone di guerra.

Del resto Pechino è sempre stata al di sopra delle parti, da un punto di vista militare, limitandosi a favorire gli interessi della Russia per quanto riguardo la Siria. Ora le cose potrebbero cambiare, sia per l’uccisione di Fan, sia perché Mosca potrebbe convincere Pechino a mostrarsi più intraprendente. Ma non c’è da credere che Pechino abbocchi: più probabile un lavoro diplomatico nelle sedi internazionali per favorire la novella coalizione franco-russa. Mosca e Pechino – intanto – continuano nel loro business: ieri la Cina ha acquistato 24 caccia multiruolo Su-35 dalla Russia per un valore totale di circa due miliardi di dollari.

Lo ha annunciato Serghiei Cemezov, direttore generale della Rostec, holding statale russa dei prodotti industriali hi-tech civili e militari. La Cina è il primo paese a cui Mosca fornisce i Su-35, finora usati solo dall’aviazione russa. Sul fronte itnernazionale, le reazioni cinesi alla notizia della morte del cinese per mano del Califfo sono state veementi. La Cina ha promesso «di assicurare alla giustizia» i responsabili dell’esecuzione, specificando che lo Stato islamico ha comunicato di aver ucciso un norvegese e un prigioniero cinese e mostrando quelle che sembravano essere le immagini dei morti sotto la scritta «giustiziato», nell’ultima edizione della sua rivista in lingua inglese, Dabiq.

Sulla vicenda c’è l’ufficialità, ma non è stato fornito alcun dettaglio supplementare, come il luogo dell’esecuzione o la data esatta. In una dichiarazione, il Ministero degli Esteri cinese ha confermato l’identificazione dell’uomo (cosa che non era mai stata fatta prima da Pechino) dicendo che si chiamava Fan Jinghui e che era stato «crudelmente assassinato». A settembre Pechino aveva comunicato che uno dei suoi cittadini sembrava essere stato rapito nello Stato islamico, mesi dopo le prime notizie circa la presenza anche di cinesi, invece, nelle file dei miliziani di Daesh.

Dopo il rapimento, il governo cinese ha attivato un meccanismo di emergenza per cercare di salvarlo, ma Fan è stato comunque ucciso «a sangue freddo», secondo quanto dichiarato dal Ministero. Il ministro degli esteri cinese, in uno statement ha affermato che «il governo cinese condanna fermamente questo atto selvaggio privo di umanità e certamente porterà i criminali davanti alla giustizia, ci opponiamo risolutamente a tutte le forme di terrorismo e a tutte le attività criminali, terroristiche e violente che sfidano le linee di fondo della cultura umana.

La Cina continuerà a rafforzare la cooperazione antiterrorismo con la comunità internazionale per mantenere la pace e la tranquillità nel mondo». Analoga condanna è arrivata dal leader cinese, il presidente Xi Jinping, che in visita a Manila per un vertice regionale, aveva detto di «condannare fortemente» l’uccisione come riportato dall’agenzia di stampa ufficiale cinese, la Xinhua.