«Make America Great Again», Fare l’America di nuovo grande. Durante l’assunzione d’incarico, Donald Trump ha articolato la retorica della sua polemica campagna elettorale, promettendo di mettere subito in atto le promesse più enfatizzate. E il tiro al bersaglio è già cominciato. Il sito ufficiale della Casa Bianca – dal quale è significativamente scomparsa la pagina dedicata al tema Lgbt – ha pubblicato la lista delle priorità del governo nei primi 100 giorni di gestione: in ambito economico, energetico, militare, in politica interna ed estera.

Trump ha già firmato un ordine esecutivo per disattivare il programma Obamacare, grande fiore all’occhiello della precedente amministrazione in tema di riforma sanitaria. Il nuovo decreto presidenziale sulla sanità pubblica impone alle istituzioni di ridurre i finanziamenti alla riforma, disattendendone le direttive: in vista di abolirla del tutto. Trump ha assicurato che chiederà al Congresso di procedere in questo senso quanto prima, giacché ha in mente qualcosa di più agile e meno costoso, che di certo sarà più gradito: di sicuro non da quei 22 milioni raggiunti dalla precedente riforma, e tanto meno dai 25 milioni che ne erano rimasti fuori.

Trump ha assicurato che, con lui, scomparirà presto la classe media: nel senso che, per via degli sgravi fiscali, passerà a uno status superiore. Un’iniziativa che, a suo dire, farà crescere l’economia di un 4% all’anno e creerà 25 milioni di posti di lavoro (sempreché il Congresso approvi la sua proposta). Altro siluro puntato sul pianeta, quello delle politiche energetiche, che punta a eliminare il Climate Action Plan, e a «riorientare» le competenze dell’Agenzia per la protezione dell’ambiente. Campo libero ai programmi per l’utilizzo del fracking – la devastante tecnica di estrazione del petrolio – e allo sfruttamento delle riserve di gas non utilizzate: per non dipendere più dalle decisioni dell’Opec o di altri paesi «ostili ai nostri interessi», ha detto Trump.

Dichiarazioni che hanno messo in allarme i paesi del sud, soprattutto quelli dell’America latina. Il Venezuela ha già proposto un incontro fra i paesi Opec e non Opec, dopo il risultato positivo raggiunto per far risalire il prezzo del barile. Anche i governi latinoamericani tradizionalmente vicini a Washington – Messico, Perù, Colombia – hanno scritto a Trump «chiedendo rispetto». Il neo presidente ha nei suoi primi cento giorni l’intenzione di rinegoziare i termini del Trattato di libero commercio dell’America del Nord (Nafta), e di uscire dall’Accordo Transpacifico di Cooperazione Economica (Tpp), altro risultato portato a casa da Obama, e non certo gradito dalle popolazioni dell’ex «cortile di casa» Usa.
Ieri, vi sono state numerose manifestazioni di ambientalisti e migranti, dal Messico al Perù, alla Colombia, all’Hondura, paesi che ospitano il grosso delle basi militari Usa. Oltre alla costruzione del muro, Trump ha promesso che deporterà 11 milioni di «indocumentados» e il suo governo che, per la prima volta dopo trent’anni, non include nessun rappresentante del latinos (la prima minoranza, pari a 55 milioni di persone) ha già annunciato il clima.

Che poi i suoi interessi «protezionistici» finiscano per coincidere con quelli del complesso militare-industriale e finanziario e con gli intrecci lobbistici che incombono sui presidenti Usa, è tutta un’altra musica.