«Non vogliamo armi né guerra», queste sono state le ultime parole di Tahir Elci, 49 anni, capo dell’Ordine degli avvocati di Diyarbakir, ucciso da uomini armati ai margini di un flash mob nel centro storico della città di Sur. Nello scontro a fuoco, anche un poliziotto ha perso la vita, un altro è rimasto ferito, insieme a un giornalista.

Un video mostra uomini che sparano contro un poliziotto dall’interno della loro vettura. In seguito, si vedono varie persone fuggire dalla macchina nelle strade limitrofe. Nonostante sia stato imposto immediatamente il coprifuoco a Diyarbakir, sono in corso manifestazioni e scontri con la polizia. Si è trattato di un assassinio a sangue freddo, in un luogo pubblico, dopo una manifestazione in difesa dei diritti dei kurdi e per denunciare lo stato di assedio della città di Sur, guidata da un uomo che ha sostenuto l’ingiustizia che il Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk) sia nella lista dei gruppi terroristici. Per Elci, il Pkk è semplicemente un’«organizzazione politica armata» molto popolare. Ha ripetuto le sue opinioni lo scorso ottobre dagli schermi della televisione Cnn Turk.

Dopo quell’intervista, i giudici della Corte di Bakirkoy avevano citato in giudizio Elci per le sue dichiarazioni. L’avvocato avrebbe potuto ricevere una condanna fino a sette anni e sei mesi di prigione con le accuse di «propaganda a favore di un’organizzazione terroristica». Per questo, Elci era stato fermato e poi rilasciato lo scorso 19 ottobre. Al momento del rilascio, aveva ripetuto la legittimità delle sue parole, aggiungendo che «in nessun modo la verità può costituire reato».

In Turchia si vive un clima di strategia della tensione tra attacchi terroristici dello Stato islamico (Is) e dei gruppi di estrema sinistra, esacerbati dalle accuse mosse al governo di non aver in nessun modo aiutato i kurdi siriani, colpiti dall’assedio di Is. Al contrario, le autorità turche hanno lasciato fare i jihadisti in funzione anti-Assad. Quando poi il partito della sinistra filo-kurda (Hdp) ha ottenuto l’importante successo elettorale del 4 giugno scorso, entrando in parlamento,

Ankara ha avviato una campagna apparentemente anti-Is che aveva come vero obiettivo il Pkk. Tutto questo per motivare i nazionalisti kurdi e turchi a dare nuovo credito al neo-kemalismo del partito islamista moderato.

Dopo la vittoria del primo novembre, Erdogan ha carta bianca per continuare la repressione dei movimenti kurdi. Vige da oltre dieci giorni il coprifuoco nelle principali province kurde e sono 30 i morti in sparatorie tra cittadini comuni e forze di polizia.

«Su questo incidente verrà fatta luce», ha assicurato il premier turco. Ahmet Davutoglu ha ammesso che Elci fosse l’obiettivo degli assalitori. A Istanbul è stata organizzata una manifestazione per condannare l’omicidio. Anche il presidente Erdogan ha condannato l’attacco e assicurato che si andrà avanti con la lotta al terrorismo, che per lui significa repressione dei movimenti kurdi. In città si teneva parallelamente una manifestazione lungo viale Istiklal a sostegno della libertà di stampa in seguito agli arresti con le accuse di «spionaggio» del direttore, Can Dundar, e il capo-redattore di Ankara, Erdem Gul, del quotidiano di opposizione Cumhuriyet. Il giornale aveva pubblicato le prove dei legami tra Servizi segreti turchi (Mit) e jihadisti di Is. I giornalisti dal carcere hanno chiesto all’Unione europea di non accettare compromessi con Ankara in occasione del rilancio dei negoziati sull’ingresso della Turchia in corso oggi a Bruxelles. Un terzo giornalista è stato arrestato ieri, si tratta di Ertugul Ozkok di Hurriyet. Nel suo caso l’accusa è di insulti al presidente Erdogan. La polizia ha disperso i manifestanti.

Il clima tra Turchia e Russia resta teso poi a causa dell’abbattimento dello scorso martedì del Sukhoi russo Su-24 al confine tra Turchia e Siria. Mosca ha deciso una serie di sanzioni commerciali contro Ankara come avvertimento per prevenire futuri abbattimenti di jet russi impegnati nei raid in Siria. Per discutere della crisi politica e diplomatica, Erdogan e Putin potrebbero incontrarsi a margine della Conferenza sul clima in corso a Parigi. Il presidente russo aveva più volte evitato colloqui con il presidente turco in attesa di scuse ufficiali. Ieri sono in parte arrivate perché Erdogan, in riferimento all’attacco, ha detto: «Vorremmo che non fosse successo. Spero che una cosa del genere non accada più». Eppure il presidente turco ha aggiunto che «non è possibile considerare violazioni alla stregua di visite di ospiti».

Le autorità russe hanno ritenuto plausibile che l’attacco avesse lo scopo di spingere la Nato, di cui la Turchia è stato membro, ad imporre una no-fly zone nel Kurdistan siriano per rafforzare il controllo turco nella regione, gestita dai kurdi del Partito democratico unito (Pyd).

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