Quelle annunciate ieri dal primo ministro turco Ahmet Davutoglu più che dimissioni dalla carica di presidente del partito, e dunque da primo ministro, hanno il sapore di una vera e propria defenestrazione, denuncia Kemal Kiliçdaroglu, il leader del Partito repubblicano del popolo (Chp), il maggior partito d’opposizione in Turchia.

L’annuncio è avvenuto ieri mattina durante una riunione straordinaria del Comitato centrale del partito di Governo della Giustizia e dello Sviluppo (Akp) in cui Davutoglu ha denunciato l’impossibilità di restare in carica dopo che erano emerse vistose divergenze sia in materia di politica interna che estera con il presidente Recep Tayyip Erdogan ed essendosi trovato in una condizione di assoluta solitudine politica senza la necessaria compartecipazione del suo partito.

Ha dunque convocato un congresso straordinario il 22 maggio prossimo per l’elezione del suo successore e ha confermato la sua volontà di farsi da parte e di tornare all’attività accademica.

Questo implica che dopo il 22 maggio Davutoglu non sarà più premier, perché secondo lo statuto dell’Akp le due funzioni sono interdipendenti. Da diversi mesi nell’Akp di Erdogan si sta consumando una vera e propria lotta per il potere, tra il presidente turco, sempre più autoritario – con una politica di totale chiusura rispetto ad una ripresa del dialogo con la componente curda; con una retorica ostile nei confronti dell’Occidente e dell’Unione europea e sostenitore del passaggio ad un sistema presidenziale, senza i necessari pesi e contrappesi – e il primo ministro Ahmet Davutoglu, più moderato e dialogante e più aperto ad un rilancio delle relazioni con l’Unione europea e con gli Stati uniti.
Erdogan si appresta a defenestrare Davutoglu che è diventato un ostacolo per la realizzazione del presidenzialismo e delle sue mire egemoniche. Quando nell’agosto del 2014 divenne presidente della Repubblica, il primo ministro appariva ai suoi occhi come uno strumento docile; ed è per questo motivo che gli conferì l’incarico di guidare il governo.

Ma il successo elettorale dell’Akp nel novembre 2015 ha rafforzato il ruolo politico di Davutoglu e sono iniziate ad emergere profonde divergenze. Cosa è accaduto in questi ultimi giorni tanto da costringere Davutoglu ad abbandonare la guida del partito? Il 29 aprile scorso, il primo ministro ha subito un vero e proprio golpe quando il Comitato Esecutivo Centrale dell’Akp (Mkyk) gli ha tolto, in qualità di leader della forza politica, la facoltà di nominare o sollevare dall’incarico gli amministratori locali del partito, facoltà cruciale per costruire alleanze politiche. E ciò è accaduto in sua assenza, mentre era in visita in Qatar.

Questo colpo basso è stato organizzato dai 47 membri del Comitato imposti da Erdogan in occasione dell’ultimo congresso del partito tenutosi lo scorso settembre. Intanto da mesi va avanti uno scontro sulla questione della revoca dell’immunità ai parlamentari leader del Partito democratico dei popoli, il partito di sinistra libertaria e filocurdo di Selahattin Demirtas. Erdogan avrebbe voluto che essa fosse tolta solo agli esponenti dell’Hdp, affinché i suoi membri fossero subito processati perché accusati di sostenere il Partito armato dei lavoratori del Kurdistan (Pkk). Davutoglu invece vuole estendere l’abolizione dell’immunità a tutti i parlamentari perché non intende inficiare la sua reputazione di uomo politico democratico, discriminando quella forza politica.

Erdogan e Davutoglu sono divisi anche sull’approccio nei confronti dell’Occidente. Il presidente turco auspica un maggiore avvicinamento della Turchia ai paesi islamici e muove l’accusa di antislamismo ai paesi occidentali. Davutoglu invece continua a ritenere strategici i rapporti con l’Occidente, in particolare con gli Usae con l’Ue.

Anche riguardo al presidenzialismo Davutoglu non ha mai manifestato alcun entusiasmo, contribuendo al rallentamento dell’attività della Commissione istituita per la riforma costituzionale, i cui lavori sono bloccati da diversi mesi.

E infine, perfino sul recente accordo Turchia-Ue sui rifugiati, la posizione del presidente turco diverge da quella di Davutoglu. Erdogan avrebbe preferito giungere alla firma del patto solo dopo aver ricevuto in cambio la liberalizzazione dei visti e ha criticato l’Ue per aver reso tale processo più difficile per la Turchia con l’introduzione di ben 72 criteri. Per questa ragione egli aveva minacciato di bloccare l’attuazione del patto sui rifugiati se Bruxelles non avesse rispettato tutti gli impegni assunti con il proprio paese. Cosa accadrà adesso?

Le dimissioni di Davutoglu potrebbero accelerare l’introduzione del presidenzialismo nella Costituzione. Ora l’Akp non ha i numeri in parlamento per introdurre tale riforma, e nemmeno per indire un referendum sul tema. Ma se ci sarà la revoca dell’immunità ai deputati dell’Hdp e la conseguente loro ineleggibilità, vi saranno elezioni supplettive nei collegi rimasti vacanti, ed è facile immaginare di quale partito potrebbero essere i nuovi eletti.

In questo caso l’Akp potrebbe raccogliere i 14 seggi supplementari di cui ha bisogno per avere la maggioranza necessaria. Erdogan ha dunque bisogno di un suo uomo che traghetti la Turchia verso il presidenzialismo, e con l’eliminazione dalla scena politica di Davutoglu e del partito filocurdo Hdp, la strada sarebbe spianata.