L’annuncio atteso è arrivato: ieri i vertici del partito socialdemocratico (Spd) in Turingia hanno dato il via libera alla formazione di un governo progressista di coalizione con alla testa un esponente della Linke. Il piccolo Land della Germania orientale è ormai vicinissimo a diventare la prima regione tedesca guidata da un membro della formazione lontana discendente dalla Sed, il partito-stato della Ddr. Giusto venticinque anni dopo la caduta del Muro di Berlino.

Una notizia che era nell’aria: la scorsa settimana si erano positivamente conclusi i colloqui fra le delegazioni di Linke, Spd e Verdi (rispettivamente 28%, 12% e 6% alle regionali) sui temi di una possibile intesa, e la maggioranza degli osservatori scommetteva sulla decisione di ieri. Tecnicamente, gli incontri di vertice non erano ancora vere e proprie consultazioni di coalizione, ma soltanto «dialoghi esplorativi»: la politica tedesca vive di molte ritualità, e ogni passo viene compiuto con prudenza. Nella sostanza, però, la scelta di ieri significa un «sì» della Spd all’accordo con la Linke, anche se formalmente è solo una semaforo verde per «ufficiali» trattative di coalizione. Il benestare dei Verdi, partner minore della futura maggioranza, appare scontato.

Passeranno dunque ancora settimane di negoziato sul programma, e poi il 58enne Bodo Ramelow dovrebbe diventare – salvo sempre possibili sorprese – il primo dirigente della Linke (forza che si batte «per il superamento del capitalismo») a ricoprire il ruolo di ministerpräsident, cioè capo del governo di un Land. Nel sistema federale della Germania è un ruolo decisamente più importante di quello di un presidente di regione in Italia. La novità ha un grande valore politico per molte ragioni, in primo luogo di tipo simbolico: se Ramelow verrà eletto, finirà quella sorta di conventio ad excludendum che ha relegato il partito più a sinistra dello spettro politico tedesco ai margini della scena per molti anni. Pur in presenza ancora di molte tangibili differenze Est-Ovest sul piano sociale, potrà dirsi compiuta davvero la normalizzazione post-1989 almeno nella dimensione istituzionale.

Oltre ai simboli, c’è il dato puramente politico: la Linke alla guida di una coalizione di sinistra in un Land significa che una maggioranza alternativa alla grosse Koalition a livello federale non è più fantascienza. Non accadrà nella legislatura in corso, purtroppo: ma non è impossibile che, se l’eventuale gabinetto Ramelow darà buona prova di sé, la Spd prenda finalmente in considerazione alle prossime elezioni politiche (nel 2017) l’ipotesi di stringere un patto tripartito con Verdi e Linke. Fino ad ora, infatti, tra le regole non scritte che definivano il rapporto di non-collaborazione fra socialdemocratici ed «estremisti» della Linke c’era il rifiuto da parte della Spd di entrare in governi regionali guidati dal partito ritenuto «troppo a sinistra». Ora questo tabù è caduto, e il segnale è inequivocabile.

Naturalmente, tutti i protagonisti della vicenda si stanno affrettando a dire che «ciò che accade in Turingia riguarda solo la Turingia»: la Spd nazionale non vuole prestare il fianco alle accuse di «deriva massimalista» (e di «oltraggio alla memoria») che possano arrivarle dagli alleati della Cdu di Angela Merkel, e la Linke sa che i motivi di contrasto con i socialdemocratici a Berlino sono moltissimi. Allo stesso modo, tutti sanno che se un giorno vedrà mai la luce un governo federale «rosso-rosso-verde» in Germania, la decisione di ieri sarà ricordata come il primo passo che avrà condotto a quel risultato.