Le pagine dei principali giornali turchi e russi ieri facevano a gara a identificare nella rottura dei rapporti tra Ankara e Mosca il movente dietro l’assassinio dell’ambasciatore russo Andrey Karlov. L’opinione pubblica filo-governativa turca, in particolare, ha rilanciato la posizione di Ankara: nessun lupo solitario, dietro l’attacco armato ci sono soggetti interessati a far collassare la rinnovata alleanza con la Russia.

Occhi puntati, dunque, sul movimento dell’imam Gülen, già accusato di aver ordito il tentato golpe del 15 luglio. Sullo sfondo restano le altre ipotesi, in particolare quella che meglio aderirebbe alle parole pronunciate dall’attentatore: se effettivamente si è trattato di una vendetta per Aleppo, si apre una finestra sull’affiliazione o la simpatia per gli islamisti in questi giorni evacuati dalla città.

L’ipotesi spaventa il presidente Erdogan, sponsor islamista. Ma le dichiarazioni del giorno dopo dovrebbero tranquillizzarlo: Mosca non è intenzionata a rompere di nuovo con la Turchia, necessaria a chiudere il cerchio siriano escludendo gli Stati Uniti e i loro obiettivi mediorientali.

Le indagini sono in corso, ieri ad Ankara sono attivati gli uomini di Putin, un team dei servizi segreti che affiancherà le indagini turche. I 18 funzionari fanno parte del Comitato investigativo russo e del Ministero degli Esteri di Mosca, partiti dopo una telefonata tra il presidente Putin e Erdogan.

Di certo, per ora, si conosce il nome dell’attentatore, il 22enne Mevlut Mert Altintas, poliziotto anti-sommossa impiegato nei mesi passati nel distretto di Diyarbakir nelle operazioni contro la comunità kurda. Secondo alcuni, questo potrebbe essere un elemento non così insignificante: molti di questi reparti sono stati riempiti dal governo dell’Akp di soggetti con simpatie radicali, sunniti estremisti che vedono nel movimento kurdo un ostacolo all’unità nazionale.

Ma di Altintas, originario della provincia occidentale di Aydin, non si sa quasi nulla. E lui, “neutralizzato” dopo l’attacco al Centro di Arti Moderne di Ankara dove era entrato armato semplicemente mostrando il tesserino della polizia, non potrà parlare. Le autorità turche hanno già arrestato tutta la famiglia (padre, madre, sorelle, zio e anche il coinquilino, un poliziotto) perché sospettata di complicità.

Dietro sta la ricerca della verità ambita, l’affiliazione gulenista utile a salvaguardare i rapporti con la Russia e magari anche ad ottenerne il sostegno nella campagna epurativa in corso da 5 mesi. Utile a tali propositi è proprio lo zio, che lavorava in una scuola considerata vicina a Gülen e chiusa durante le purghe che hanno investito il paese.

E utili sono i libri che sarebbero stati trovati a casa di Altintas durante la perquisizione e, secondo l’agenzia turca Anadolu, relativi al movimento Hizmet e ad al Qaeda (che, al contrario, fa pensare ad un’ispirazione jihadista, la stessa dell’ex al-Nusra).

Ma i repentini arresti dei familiari del killer fanno immaginare che del giovane attentatore si sappia ben poco. Non sarebbe cioè noto per l’appartenenza a determinati gruppi politici e la simpatia gulenista è la prima carta giocata per salvaguardare il governo turco.

Si corre ai ripari con dichiarazioni distensive: «A nome del mio paese e della mia gente estendo le mie condoglianze al presidente russo Putin e al popolo russo», il primo commento di Erdogan. «Il crimine che è stato commesso è senza dubbio una provocazione volta a deviare i rapporti tra Russia e Turchia e il processo di pace in Siria», la risposta del Cremlino per bocca dello stesso Putin.

Erdogan ha paura e vuole chiudere la pratica Altintas in fretta. Un ritorno al gelo successivo all’abbattimento del jet russo a novembre del 2015 è impensabile. Lo è per l’economia turca, già in crisi, duramente provata dalle sanzioni imposte all’epoca da Mosca e dalla fuga dei milioni di turisti russi che ogni anno visitano la Turchia.

E lo è per la questione siriana da cui Erdogan prova ad uscire pulito e intonso, dopo averla incendiata per anni: Ankara sa che in cambio del ritiro della richiesta della testa del presidente siriano Assad avrà mano libera nel nord della Siria, a Rojava, dove sta ammassando i jihadisti evacuati da Aleppo. Insieme all’Esercito Libero Siriano, ormai ufficiale braccio armato turco, impegnato da mesi in azioni contro i kurdi, potrà creare un fronte compatto che distrugga definitivamente il sogno del confederalismo democratico.