Emanuele Macaluso, l’ex ministro Sacconi dice che il jobs act è un successo dei «riformisti di destra e di sinistra». A te, riformista di sinistra da alcuni decenni, che impressione fa?

Intanto la battaglia sull’art.18 tutti l’hanno combattuta su un terreno d’immagine e di posizionamento politico. Una manfrina, insomma, che hanno fatto tutti: Renzi, Sacconi, ma anche le minoranze Pd. I problemi del paese sono seri e non riconducibili all’art.18.

Chi nel Pd non era d’accordo cosa avrebbe dovuto fare?

Il problema della sinistra, sia quella interna al Pd che quella – piccola – esterna, dovrebbe essere un altro: delineare una prospettiva alternativa a quella che progetta Renzi e il Pd. Invece fanno una battaglia di retroguardia, fatta solo di no, senza un progetto politico per dare battaglia all’interno del Pd. E dico all’interno perché per me fuori dal Pd oggi non c’è niente, purtroppo. Un partito si chiama di sinistra, laburista o comunista solo se ha il popolo. A quelli che hanno il 2 per cento dico: figli miei, vi rispetto ma vi considero un circolo culturale, una testimonianza. Senza popolo non c’è socialismo, non c’è comunismo e neanche sinistra. Il Pd di Renzi ha il popolo, ma Renzi, con l’art.18, vuole dare un segnale all’area moderata.

L’uso del termine riformismo nel Pd non è un po’ troppo disinvolto?

Che devo dire? Parlare di alleanza fra di riformismo di destra e di sinistra è fuffa. Il riformismo come lo penso io è quello che determina una prospettiva politico-culturale, che oggi non vedo. Non per rifare il Pci, ma per fare una sinistra del 2020, una sinistra che abbia una qualità di progetto.

L’idea di espandersi nell’area moderata, idea che è di Renzi, si può chiamare riformismo?

Partendo dalla storia di questo termine, io non posso chiamarla riformismo. E non mi si risponda che rifomista è chi fa le riforme. Le riforme sono quelle sociali, e infatti io le chiamo ’riforme socialiste’, e cioè che abbiano una tendenza all’uguaglianza. Queste sono le riforme riformiste. Come diceva Bobbio: la sinistra è tale se tende all’uguaglianza. Per ora di certo ci sono solo le disuguaglianze.

Anche nelle riforme di questa stagione renziana?

Anche nelle riforme di questa stagione.

Ti convince l’idea di partito della nazione?

Per niente, neanche capisco cosa significa. Casomai si può parlare di un partito ’per la nazione’, che guarda ai problemi generali del paese. Ma che vuol dire un partito di tutti? Un partito significa una parte, non il tutto. Bisognerebbe rispettare la lingua italiana.

Le riforme di Renzi non tendono all’uguaglianza?

Intanto ancora non le vedo. Anche la riforma sul lavoro – che tutti, giornali, tv, cretini e intelligenti debbano chiamarla jobs act è insopportabile – si riuscirà a capire quando ci saranno gli atti esecutivi. Per ora non si sa.

Nel Pd c’è chi voterà no.

E io non sono d’accordo. La sinistra, se sta nel partito, deve avere una sua idea alternativa, e deve dire chiaramente: voto sì per disciplina. Un minimo di centralismo democratico un partito deve averlo. Ma la sinistra non si qualifica con un continuo ’voto o non voto’. Deve dire quale prospettiva vuole dare. Mi angoscia vedere le immagini di Tor Sapienza, quelli che gridano scopri che sono ex compagni: non è gente cattiva, è gente disorientata, non c’è più nessuno che fa una battaglia insieme a loro. E allora cosa vuole fare la sinistra se non va a Tor Sapienza, o nelle fabbriche fra gli operai?

Veramente gli operai, e i lavoratori, vanno in piazza contro Renzi. E Renzi attacca il sindacato.

Bisogna rispettare il sindacato, fargli la guerra è un’altra sciocchezza. Qualche tempo fa mi hanno invitato al settantennale della firma del patto di unità sindacale (il Patto di Roma del 4 giugno ’44, ndr), credo di essere rimasto l’unico vivente fra chi ha firmato, io l’ho siglato in Sicilia. E lì ho detto alla Camusso: il sindacato deve avere un progetto nuovo, non giocare di rimessa. Di Vittorio fece il piano del lavoro, Trentin e Lama fecero cose straordinarie, proposte generali che avevano una grande base politico-culturale. Le ho detto: ci vuole l’unità e una vostra idea di quale stato sociale volete oggi, nel 2014. Non lasciate gli altri il compito di fare proposte. Altrimenti i pappagalli continueranno a dire ’siete ancora al 900’. Anche se poi questi pappagalli parlano come se fossero nel 600.