Erano piuttosto grandi le pietre lanciate ieri, sulla strada tra Ram e Qalandiya, da Mohammed Qusba, 17 anni, contro la jeep del comandante della brigata Benyamin, il colonnello Israel Shomer. Per questo motivo l’adolescente palestinese meritava di essere ucciso? Le foto diffuse dai comandi israeliani dopo la sua uccisione mostrano il parabrezza della jeep per metà in frantumi. Nessun soldato però è rimasto ferito, a cominciare da Shomer. Il portavoce militare ha spiegato che a Qusba è stato intimato di fermarsi ma il 17enne palestinese si sarebbe allontanato continuando a lanciare sassi e, «solo al quel punto», sono stati esplosi i colpi che lo hanno ucciso. A sparare sarebbe stato proprio il colonnello Shomer. In Israele si parla di “legittima difesa”, Qusba però non aveva in mano armi da fuoco o coltelli, solo pietre. Meritava la morte, di essere punito ben oltre oltre gli anni di carcere che la ministra della giustizia Ayelet Shaked propone per coloro, ciòè i palestinesi, che lanciano pietre?

 

Non avevano dubbi ieri ministri ed esponenti della destra, pronti a cavalcare l’onda della rabbia di buona parte dell’opinione pubblica per l’uccisione nelle ultime settimane di due israeliani nella Cisgiordania occupata. Mercoledì a centinaia si sono radunati davanti alla residenza del premier Netanyahu per chiedere di bloccare con ogni mezzo i “lupi solitari” responsabili di questi attacchi. «Io dico uccidi per primo chi vuole ucciderti. Al comandante della brigata Benyamin va il mio pieno sostegno», ha commentato sulla sua pagina Facebook il ministro dell’istruzione e leader del partito ultranazionalista Casa Ebraica Naftali Bennett. Ma Mohammed Qusba, armato di pietre, davvero intendeva uccidere? Nessuna esitazione anche per il ministro delle scienze Danny Danon: «Il colonnello Shomer ha agito per difendersi da un terrorista che lo aveva affrontato con la volontà di ucciderlo. Contro il terrore e la violenza dobbiamo rispondere con la fermezza». In quelle stesse ore reparti speciali dell’Autorità nazionale palestinese eseguivano in Cisgiordania gli arresti di oltre 100 attivisti veri o presunti di Hamas, confermando la ripresa a pieno ritmo della cooperazione di sicurezza con Israele – di cui qualche mese fa il Comitato Centrale dell’Olp aveva chiesto la cessazione – e il fallimento della riconciliazione interna palestinese.

 

L’uccisione del 17 enne Qusba in casa palestinese è vista come un assassinio a sangue freddo. Durante i funerali nel campo profughi di Qalandiya dove l’adolescente viveva, seguiti da almeno 2 mila persone, tanti hanno chiesto vendetta. La morte di Mohammed Qusba è andata ad appesantire il clima di lutto in cui vivono tanti palestinesi in questi giorni in cui si ricorda l’omicidio, un anno fa, di un altro adolescente, Mohammed Abu Khdeir, rapito e bruciato vivo da tre israeliani (sotto processo) per vendetta dopo il ritrovamento dei corpi di tre ragazzi ebrei sequestrati e assassinati in Cisgiordania, pare da una cellula di Hamas. Omicidi che furono il preludio dell’operazione israeliana “Margine protettivo”, scattata tra il 7 e 8 luglio, ufficialmente contro il movimento islamico Hamas. In realtà fu un attacco contro l’intera Striscia di Gaza, costato la vita a oltre 2200 palestinesi (in gran parte civili), il ferimento di altri 11mila e la distruzione di decine di migliaia di abitazioni ed edifici. I morti israeliani furono 72, dei quali però 66 soldati caduti in combattimento. Anche in quel caso Israele parlò di legittima difesa e a metà giugno il governo Netanyahu ha diffuso un suo rapporto nel quale esclude di aver avuto alcuna responsabilità nella morte di tanti civili palestinesi e scarica la colpa tutta su Hamas. Non è questo però il giudizio del Consiglio Onu per i Diritti Umani che ieri ha approvato una risoluzione che chiede a Israele e ai palestinesi di portare davanti alla giustizia i responsabili di crimini di guerra e di violazioni del diritto umanitario commessi a Gaza durante “Margine Protettivo” e, quindi, a cooperare con la Corte penale internazionale. La risoluzione è stata approvata con 41 voti a favore, uno contrario (Stati Uniti) e cinque astensioni. Gli Stati dell’Unione europea hanno votato a favore.

 

Ieri pomeriggio, ad aggravare ulteriormente la tensione, sono stati lanciati tre razzi verso il territorio israeliano, dove sono caduti senza fare danni. L’attacco è stato rivendicato da un gruppo salafita che si proclama affiliato all’Isis e che opera a Gaza, ma l’esercito israeliano è certo che i razzi siano stati sparati dal Sinai egiziano. Tel Aviv sostiene che elementi di Hamas avrebbero aiutato attivamente i miliziani dell’Isis, protagonisti a inizio settimana di un attacco in massa contro l’esercito egiziano nel Sinai. Accusa bollata ieri come “propaganda” dal movimento islamico.