Nel campo profughi di Faraa (Nablus) l’altra notte sono penetrati gli uomini della Duvdovan, una delle unità meglio addestrate dell’esercito israeliano. Credevano di agire indisturbati nel cuore della notte. Invece sono stati scoperti quasi subito da alcuni abitanti e a Faraa si è scatenato l’inferno, con la popolazione decisa a respingere il raid lanciando pietre e bottiglie molotov e i soldati decisi a portare a termine la loro missione. Ufficialmente quella di arrestare Mohammed as Salahi, 32 anni, un ex detenuto politico ricercato non si sa per cosa. Invece il “ricercato” è stato ucciso. As Salahi, dice l’esercito, si sarebbe avventato contro i soldati brandendo un coltello ed è stato colpito solo dopo che aveva ignorato le intimazioni a fermarsi. Una versione smentita categoricamente dai familiari dell’ucciso. I militari, raccontano, hanno fatto irruzione nella casa e hanno sparato subito contro as Salahi, colpito alla testa da 6 proiettili sparati a distanza ravvicinata. I soldati se ne sono andati portandosi dietro tre palestinesi in manette.

Non è chiaro se l’incursione nel campo di Faraa rappresenti una risposta dall’attacco con un camion che domenica ha ucciso quattro soldati a Gerusalemme Est. L’esercito parla di una ordinaria “operazione di sicurezza” simile a quelle che (quasi ogni notte) avvengono in diversi punti della Cisgiordania. Intanto il governo israeliano si prepara a prendere nuove misure punitive contro la famiglia dell’attentatore palestinese, Fadi al Qunbar, descritto dal premier Netanyahu come un uomo dell’Isis, anche se dello Stato Islamico non sono state trovate fino a ieri tracce inequivocabili. Tracce che, a sorpresa, vede in Cisgiordania la sicurezza preventiva dell’Autorità nazionale palestinese (Anp) del presidente Abu Mazen. L’altra notte, mentre i soldati dell’unità speciale israeliana Duvdovan entravano nel campo di Faraa, i poliziotti dell’Anp arrestavano cinque attivisti di Hamas e ben 37 presunti simpatizzanti dell’Isis. Una retata che molti leggono come una azione simbolica volta soltanto a mandare segnali concilianti a Israele. Gli arrestati, si sussurra, sarebbero “militanti” del Califfato solo per qualche post fatto su Facebook. In ogni caso non è servito a molto. Netanyahu ieri ha criticato con forza l’Anp per non aver ancora condannato l’attacco di domenica.

La casa di Fadi al Qunbar, nel quartiere palestinese di Jebel al Mukaber, sarà demolita al più presto e il ministero dell’interno intenderebbe revocare a 12 membri della sua famiglia il diritto a risiedere a Gerusalemme. Dovranno lasciare la città potranno farvi ritorno solo con un permesso israeliano. «Non abbiamo fatto nulla e Fadi non ci aveva detto delle sue intenzioni, non abbiamo colpe», ripeteva ieri ai giornalisti un cugino di al Qunbar. Le demolizioni di case però si moltiplicano anche nei centri abitati palestinesi in Israele. Le autorità ieri hanno fatto demolire in un solo colpo 10 case “illegali” nella cittadina di Qalanswa. «Da dieci anni attendiamo l’approvazione del piano regolatore e invece il governo manda le ruspe a buttar giù le case di dieci famiglie», ha commentato il sindaco Abd al Basit Mansour, che si è dimesso per protesta.