Al momento sembrano avere non più che la consistenza di parole, gli scambi epistolari tra Mosca e Kiev sulla nuova convocazione, per questa settimana, del Gruppo di contatto sulla crisi ucraina. Già da una settimana le artiglierie hanno ripreso a martellare i quartieri di Donetsk e Lugansk.

Dopo i 13 morti di Volnovakha, martedì scorso, causati da una mina ucraina fatta brillare nelle vicinanze di un autobus (secondo la testimonianza – tra le altre – dell’autista), gli obici hanno intensificato i tiri tra sabato, domenica e ieri. Due morti a una fermata di autobus a Gorlovka; nove morti, tra cui un bambino, domenica a Donetsk; un morto ieri e almeno cinque feriti, per un colpo di artiglieria caduto sull’ospedale n. 3 di Donetsk.

E mentre a Kiev Poroshenko e Jatsenjuk inscenano la veglia «Je suis Volnovakha» – addossando la responsabilità alle milizie, secondo queste ultime, la distanza delle loro artiglierie dal luogo del massacro non consente di colpire l’area – si susseguono dichiarazioni e smentite su chi controlli ciò che resta dell’aeroporto di Donetsk. Kiev continua a parlare di riconquista da parte delle forze ucraine; ma ancora domenica sera, il canale russo Planeta mandava in onda la diretta dall’interno del terminal, con i miliziani che mostravano le armi leggere americane rinvenute nel sottosuolo e rispondevano al fuoco dei militari appostati all’esterno. Il controllo dello scalo è vitale: è da lì che l’esercito di Kiev può riversare i propri colpi su Donetsk.

Nonostante gli incontri di Berlino di inizio anno, l’ufficiale Deutsche Welle aveva scritto che Poroshenko, mentre parlava di trattative, preparava un’offensiva in grande stile; previsione rafforzata dal Ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov, che il 12 gennaio citava fonti sicure sulla mobilitazione di 200mila soldati ucraini. La scorsa settimana ha visto l’intensificarsi dell’offensiva ucraina: difficile sfuggire alla sensazione che Poroshenko, mentre sfilava a Parigi, l’11 gennaio, con i capi di Stato e di governo, avesse ricevuto il via libera per la guerra.

La conferma indiretta pareva giungere anche dalla decisione della Rada di portare da due a cinque anni di reclusione la sanzione per i renitenti. Quindi, il 13 gennaio la strage di Volnovakha; il 15, il parlamento europeo – che, come hanno detto alla Duma russa, «agisce da megafono di Washington» – chiede l’inasprimento delle sanzioni contro la Russia; il 16 salta il previsto incontro di Minsk e lo stesso giorno il rappresentante russo presso l’Osce dichiara che ci si attende una soluzione di forza da parte di Kiev.

E anche se nella notte tra domenica e lunedì, Kiev, in risposta alla proposta di Putin sul ritiro delle artiglieri pesanti dalla linea del fronte, proponeva un «grafico di implementazione» degli accordi di Minsk e il cessate il fuoco a partire dal 19 gennaio, proprio ieri si verificavano i nuovi bombardamenti ucraini su Donetsk. Intanto, sembra che ieri l’ex «Governatore del popolo» del Donbass Pavel Gubarev sia stato rapito da uomini armati che parlavano con accento ceceno.

Poco probabile che i rapitori appartenessero a quella parte di popolazione che appoggia il presidente filorusso Kadyrov, che ieri, rispondendo al suo appello, ha dato vita a Grozny a una marcia di protesta contro le caricature di Maometto.