«Nelle regioni di Donetsk e Lugansk è stata scatenata una lotta di classe in cui banditi, emarginati e tutta una marmaglia randagia combatte contro la classe di biznesmen, liberi professionisti, farmer e tutti coloro che hanno bisogno dell’autorità come garanzia dei diritti e delle libertà», scriveva tempo fa Tsensor.net, emanazione del partito «Patria» di Julja Timoshenko. E comasscrewing.ru: «Nel Donbass siamo testimoni di una delle ultime rivoluzioni proletarie. Proletariato industriale ed elementi declassati lottano contro le classi dei contadini, dei piccolo-borghesi e degli oligarchi». Dunque, oltre e al di là della guerra scatenata dal governo ucraino contro le Repubbliche popolari di Lugansk e Donetsk, c’è qualcosa di più profondo che agita la società civile della Novorossija? È azzardato parlare di un movimento popolare che, difendendo terra e diritti, lotta anche su obiettivi di classe?

Che a Kiev siano al potere un governo e una Rada «legittimati» da milizie neo-naziste, con qualcosa di più di semplici tendenze fasciste, pare fuori discussione. Dati alle fiamme libri su Russia e Urss; gli ucraini proclamati portatori dei geni di una razza superiore; disciolta la frazione parlamentare del Partito comunista ucraino e lo stesso partito sottoposto ad assalti quotidiani, con la prospettiva di essere messo fuori legge (proprio oggi dovrebbe essere in discussione alla Rada un progetto di legge sul divieto «dell’ideologia comunista»); deputati assassinati; giovanissimi studenti fatti sfilare col saluto romano: non c’è bisogno di indagare sui massacri dei battaglioni neonazisti (teoricamente, non controllati dal governo) per inquadrare le scelte di Poroshenko e Jatsenjuk in una linea che mira a fare di Kiev l’avamposto diretto nell’assalto economico-militare occidentale alla Russia.

Chi combatte contro chi, per chi e per cosa nel Donbass? Quanta parte hanno le dispute tra oligarchi dell’ovest e dell’est del paese anche nella crisi in Novorossija? E’ stato solo politico il licenziamento tre giorni fa del magnate Sergej Taruta da governatore della regione di Donetsk, da parte del magnate Pëtr Poroshenko? L’oligarca Kolomojskij (governatore di Dnepropetrovsk) ha scatenato le bande neonaziste contro l’oligarca del Donbass Rinat Akhmetov (secondo Forbes il terzo più ricco tra quelli dell’ex Urss) solo per impedirgli di finanziare i separatisti? Gli assalti, a suo tempo, del clan della Timoshenko alla «famiglia» degli Janukovic erano dettati da pure idee «liberali»? E poi i vari Pinchuk, Novinskij, Kosjuk, Tighipko e Zhevago e Bojko: tutte personificazioni di perfette simbiosi tra cariche amministrative e d’affari.
E quindi, il sostegno aperto alla cosiddetta «azione anti-terrorismo» di Kiev, rientra solamente nel disegno di allargamento a est sia della Nato che monopoli europei, oppure nasconde anche interessi della finanza mondiale e di quella ucraina a spartirsi le risorse della regione? Una regione (abitata per il 57% da ucraini, 38,2% russi e altre 30 nazionalità) che è il forziere delle risorse industriali e naturali di tutta l’Ucraina, con una classe operaia che costituisce il 40% degli occupati. Nella sola area di Donetsk (dal 1924 al 1961 si chiamò Stalino, per gli stabilimenti di acciaio – stal – presenti) è concentrato il 20% dell’intera produzione industriale ucraina: miniere, metallurgia, chimica, macchinario pesante, elettroenergetica. E, oltre a quello che è uno dei bacini carboniferi più grandi d’Europa, anche gas (il solo metano è calcolato in 118 mlrd m3) e giacimenti di quarzo, graniti, ferro, alluminio grezzo, mercurio.

Il sito anarco-sindacalista Rabocij put (Rp; La via operaia), ancora in febbraio scriveva che «all’inizio delle proteste di Majdan, moltissimi manifestanti non condividevano le posizioni dei nazionalisti e degli “eurointegranti”. Le persone, soprattutto delle regioni occidentali del paese, protestavano contro il governo che le aveva ridotte a estrema povertà. Con questi indirizzi, nazionalisti e fascisti avevano raccolto anche i lavoratori e le proteste si erano allargate alle regioni centrali e orientali, in cui non si può certo parlare di spirito nazionalista o ultradestro».

Anche Borotba, di ispirazione trotskista, affermava che «Euromaidan ha avuto un certo supporto di massa tra chi sperava in un avvicinamento alla Ue per migliorare le proprie condizioni di vita: un’illusione reazionaria, ma sufficiente a mobilitare una parte della popolazione contro Janukovic. Sotto la maschera di lotta alla corruzione, c’era un movimento reazionario composto principalmente da intellettuali liberali piccolo-borghesi, elementi sottoproletari e ceto medio impoverito».

Secondo Rp, «per evitare la sollevazione rivoluzionaria delle masse, i circoli più reazionari della borghesia videro l’unica via d’uscita in una dittatura apertamente reazionaria; Janukovic non appoggiò tale piano, forse contando sui metodi della democrazia borghese. La destra ucraina, appoggiata da imperialisti europei e americani, dette vita a Majdan per far fuori Janukovic e arrivare alla più reazionaria dittatura borghese». A conflitto iniziato, sempre a detta di Rp, la classe operaia del Donbass non avrebbe «agito autonomamente, ma seguendo le indicazioni ora di una, ora di un’altra parte della borghesia. Ai meeting per dire “no alla guerra”, non si è mai detto a quale guerra ci si riferisca. Gli organizzatori dei meeting non hanno bisogno della guerra di classe, bensì della vittoria sui loro rivali in affari al potere a Kiev. Nella Repubblica di Donetsk si rappresentano gli interessi della piccola e media borghesia del Donbass, che, pur non d’accordo con gli oligarchi locali, persegue comunque la conservazione della proprietà! Non ci sarebbe stata nessuna guerra, se la borghesia e “l’oligarchia di Donetsk”, non avessero temuto per le proprietà, che i clan borghesi di Dnepropetrovsk, di Kiev e dell’occidente volevano togliere loro».
Che in generale, in Ucraina, fosse in corso una guerra tra clan per una nuova ripartizione delle ultime proprietà statali, fino all’estate scorsa lo scriveva anche RIA Novosti: «Per la fine dell’anno, l’Ucraina prevede di vendere 164 grosse imprese statali, che potrebbero essere spartite tra i milionari danneggiati da Janukovic», a scapito di concorrenti quali «il re del Donbass Rinat Akhmetov, il magnate chimico Dmitri Firtash e Sergej Levochkin. Si perpetuano le guerre tra oligarchi e clan regionali, attraverso cui si è formato il capitale originario sulla spartizione della proprietà sovietica. È in atto una elementare ripartizione della proprietà».

In ogni caso, all’epoca di Majdan e contrapposto a Majdan, nel sudest ucraino prese piede un movimento in difesa dei diritti nazionali, democratici e sociali, che rifletteva il malcontento della popolazione verso il governo degli oligarchi e che cercava di resistere alle violenze fasciste. Non solo. In più occasioni, vari dirigenti della Novorossija hanno parlato del primato della proprietà collettiva su quella privata, della nazionalizzazione della grande proprietà, proclamando i principi del potere popolare. E l’appoggio popolare e dei lavoratori non è mancato. In effetti, tra passi indietro e contrasti tra i dirigenti della repubblica, inevitabili in un movimento di massa che, di per sé, esprime le più varie tendenze ideali o ideologiche, sembra che non tutto sia chiaro nella loro visione dell’anticapitalismo, dell’antifascismo e dei diritti civili, tra tendenze monarchiche e ammiccamenti a certa destra europea. E anche l’iniziale minaccia di nazionalizzazioni delle proprietà degli oligarchi del Donbass è via via stata corretta in proposte di accomodamento coi magnati. Nei giorni scorsi si è annunciato di puntare alla conservazione di uno spazio economico comune con l’Ucraina, attraverso la concessione al Donbass dello status di zona offshore.
Ma ora la guerra con Kiev è al primo posto.

A fine agosto il sito Classwar scriveva: «La rivolta nel Donbass è iniziata non solo come lotta di liberazione nazionale. I fondatori della Repubblica di Donetsk parlavano di uno stato “sociale”, contrapposto al precedente stato oligarchico ucraino. “Repubblica senza oligarchia e corruzione” – era lo slogan anti-capitalista dei ribelli. Ma mentre le milizie versano il sangue al fronte, la borghesia va al potere. Uno dopo l’altro, ci sono progetti di Costituzione intesi a consolidare il carattere capitalista delle nuove strutture pubbliche, con promesse esplicite di inviolabilità del grande capitale». E ancora Rp: «I leader di Donetsk parlano solo della lotta contro gli oligarchi. Non hanno mai fatto cenno alla lotta contro la borghesia in generale, dato che loro stessi sono borghesia. Per raggiungere la pace, è necessario non appoggiare nessuna delle parti in conflitto, dato che questa e quella sono nemiche della classe operaia». Sembrerebbe quasi un richiamo a porsi, sin da ora, sulla strada della «costruzione del socialismo in un solo» distretto regionale…
Ma intanto la guerra va avanti.