Solo dieci giorni fa parlando del modo in cui gli Stati europei affrontano l’emergenza profughi, il commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa Nils Muizniesks ha definito «isteriche» le risposte date dai vari governi alla crisi. Viste le cose accadute solo ieri, Muizniesks aveva ragione. Nell’ordine: la Danimarca ha riaperto i collegamenti ferroviari con la Germania che aveva bloccato mercoledì a tempo indeterminato. Nel frattempo però l’Austria ha fermato i treni da e per l’Ungheria, scelta spiegata da Vienna come una conseguenza del «sovraccarico» di migranti in arrivo da quel paese. A sera invece la Macedonia ha annunciato di voler costruire anche lei un muro, questa volta al confine con la Grecia, non escludendo la possibilità di schierare anche l’esercito. Con il rischio di provocare una crisi con Atene che va ben oltre quella riguardante i profughi. Infine la Polonia, Paese leader del blocco «no profughi» fino a ieri mattina, sarebbe invece pronta ad accettare il meccanismo delle quote proposto dal presidente della Commissione Ue Jean Claude Juncker, meccanismo che sempre ieri la Romania ha invece detto di voler rifiutare. Se questa non è isteria, di certo è il segno inequivocabile di come ognuno vada per conto suo.

In questo clima ieri il parlamento europeo ha approvato il piano presentato da Juncker e si prepara al vertice dei ministri degli Interni di lunedì, primo vero scoglio all’avvio della distribuzione dei profughi. A Bruxelles circola una bozza della nota che la presidenza di turno lussemburghese presenterà al vertice e basata essenzialmente su due punti: rimpatri dei migranti non riconosciuti come aventi diritto all’asilo, e avvio della divisione dei primi 40 mila profughi arrivati in Grecia e Italia dal 15 agosto scorso. Non è esclusa anche la possibilità di valutare una flessibilità del patto di stabilità per i Paesi che hanno sostenuto le spese per rifugiati e migranti.

La questione dei rimpatri, che preoccupa non poco le organizzazioni che si occupano di migranti, punta soprattutto sul ruolo svolto da Frontex. Viene proposta la creazione «immediata di un ufficio europeo per i rimpatri» senza escludere la possibilità di creare nei paesi maggiormente coinvolti dagli sbarchi e insieme all’Ufficio europeo per l’asilo, centri di accoglienza co-finanziati dal budget europeo dove esaminare le richieste di asilo.

C’è poi la questione ricollocamenti. Se il consiglio del 14 approverà il piano, potrebbero essere avviati già dal 16 settembre e riguarderanno 24 mila profughi sbarcati in Italia e 16 mila in Grecia. Gli Stati membri «devono cominciare subito a ricollocare» si legge nella bozza, nella quale però si sollecita ancora una volta Italia e Grecia ad aprire gli hotspot: «Priorità va alle infrastrutture per le identificazioni, registrazioni, raccolta impronte». Per i richiedenti asilo devono essere avviate «subito le procedure», è scritto ancora, mentre le registrazioni dei migranti devono essere collegate a «efficaci politiche di rimpatri».

Da notare che per ora si parla di soli 40 mila profughi (cifra ridotta a luglio a 32.256 per le resistenze di alcuni Paesi), e non si fa invece parola degli ulteriori 120 mila previsti da Juncker. Silenzio anche sull’intenzione di rendere il meccanismo dei ricollocamenti obbligatorio. Tutti argomenti su cui la divisioni all’interno della Ue sono pesanti e di cui si parlerà sicuramente oggi a Praga, dove è previsto un vertice dei Paesi del gruppo Visegrad (Polonia, Ungheria, Repubblica ceca e Slovacchia) al quale parteciperanno anche il ministro lussemburghese Jean Asselborn, in qualità di rappresentante della presidenza di turno, e il ministro tedesco Frank-Walter Steinmeier. Se sono vere le indiscrezioni circolate ieri, che danno la Polonia disponibile ad accettare il meccanismo delle quote, anche il gruppo di Visegrad avrebbe perso l’unità mostrata finora. Intanto qualcosa si muove oltreoceano con gli Stati uniti che annunciano di voler prendere diecimila profughi siriani.