All’inizio degli anni ottanta il sottobosco selvaggio delle emittenti locali italiane è stato territorio privilegiato per esplorare serie animate e televisive dalla più disparata provenienza. Molti, se non la maggioranza, di questi prodotti erano giapponesi, principalmente animazioni, ma si distinguevano anche alcuni telefilm del genere tokusatsu, di effetti speciali cioè, il capostipite dei quali è stato Ultraman. In Giappone il debutto della serie risale al luglio del 1966, 50 anni fa, un anniversario che viene celebrato nell’arcipelago proprio in questo periodo, cinque decenni in cui il personaggio «in tuta rossa» è diventato parte integrante dell’immaginario collettivo giapponese.

La prima serie è in parte ispirata ai Thunderbirds americani ed in parte al desiderio del pubblico di vedere trasposto sul piccolo schermo l’universo fantascientifico e dei kaiju, i «mostri», reso popolare dal 1954 in poi da Godzilla. Il legame con il capolavoro di Ishiro Honda del resto è molto diretto, a capo degli effetti speciali dei lungometraggi dedicati al lucertolone è quel Eiji Tsuburaya che con la sua compagnia, la Tsuburaya Production, crea la serie di Ultraman. Da quell’anno e praticamente fino ai giorni nostri, l’unico iato si è avuto negli anni ottanta, le serie dedicate a Ultraman o ai suoi affini sono state una trentina, ma qual è il motivo del successo e della longevità di questo fanchise dedicato ad un supereroe extraterrestre capace di diventare un gigante e combattere contro gli invasori alieni?

Se ritorniamo agli anni sessanta ed ai primi settanta, senza dubbio la voglia del pubblico, soprattutto quello composto da bambini, di serie di supereroi e di effetti special, senza contare poi il vario pupazzame che è inevitabilmente seguito dopo le prime puntate. Proprio questi pupazzetti di gomma che ancora oggi abbondano nei vari negozi di giocattoli dell’arcipelago, illustrano alla perfezione un altro motivo del successo di queste serie. Sebbene il protagonista, Ultraman nelle sue infinite declinazioni, è ben presente e «in prima fila», sono gli avversari, i kaiju, a tenere banco, tanto come giocattoli sugli scaffali che nell’immaginario degli spettatori. Nel corso di questi cinque decenni la fantasia del team creativo dietro ai telefilm ha riversato nelle forme e fattezze dei kaiju tutti i sogni e le fantasie subconscie del secolo, quasi un carnevale di spettri e di mostri dal sapore e dal tono surrealista.

Del resto fra gli sceneggiatori ed i registi della serie figurano i nomi di importanti artisti giapponesi del dopoguerra, co-sceneggiatore di molti episodi è stato infatti quel Mamoru Sasaki che faceva parte del gruppo orbitante attorno a Nagisa Oshima, altro nome importante, in questo caso come regista, è stato Akio Jissoji che fra i sessanta ed i settanta girò sotto l’egida dell’Art Theatre Guild lungometraggi che fanno oramai parte del canone cinematografico nipponico.

Tutto questo per dire che Ultraman ed i suoi derivati, pur mantenendo le sue caratteristiche di serie per bambini, ha saputo nel corso degli anni rinnovarsi e con la sua forza mitopoietica è stato capace di influenzare generazioni di artisti, ricordiamo per esempio che Hideaki Anno, il creatore di Evangelion, è un grande appassionato della serie e che proprio oggi esce in Giappone il reboot di Godzilla, Shin Gojira, da lui codiretto, un omaggio al lungometraggio di Honda del 1954 naturalmente, ma anche al mondo dei telefilm tokusatsu, Ultraman in primis.

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