Il 12 dicembre è un giorno particolare per Milano. Ancora oggi, 46 anni dopo lo scoppio della bomba in Piazza Fontana, non ce l’hanno fatta a normalizzare e addomesticare la memoria, tant’è che lo stesso neoprefetto, l’ex questore Marangoni, ha voluto caratterizzare il suo arrivo in città dichiarando che sarà necessario «ripensare al rapporto con la famiglia Pinelli». Già, Giuseppe Pinelli, ferroviere anarchico, falsamente accusato e morto dopo un volo di quattro piani da una finestra della Questura.

Ma il 12 dicembre non è soltanto ferita aperta e giustizia negata, è anche il simbolo di un potere istituzionale che non aveva esitato a ricorrere alla manovalanza fascista e alle bombe pur di fermare il cambiamento e salvaguardare lo status quo sociale e politico. L’avevano chiamata strategia della tensione e l’idea era diffondere paura e suscitare domanda d’ordine. Un’idea non particolarmente originale, ma di notevole successo tra i guardiani degli interessi dominanti, visto che è tuttora molto in voga in giro per il mondo. E se avete qualche dubbio, allora guardate cosa succede in Turchia, il paese Nato del coccolato alleato Erdogan, dove viene applicata quasi alla lettera, oppure fermatevi un attimo a ragionare sulle fortune elettorali che raccolgono le campagne xenofobe e l’istigazione alla paura. Anche per questo la memoria di piazza Fontana non può e non deve essere ridotta a mera commemorazione, ma anzi, soprattutto in questi tempi di Daesh, guerre, razzismo e stati di emergenza, deve diventare occasione per prendere parola, manifestarsi e schierarsi sul presente e sul futuro.

Domani a Milano non ci sarà, quindi, soltanto la commemorazione istituzionale, ma anche un corteo cittadino che intende unire la memoria della strage di Stato a quello che accade oggi. «Ricordare le stragi di ieri, fermare le guerre di oggi» si intitola infatti l’appello firmato da numerose realtà dell’antifascismo e antirazzismo milanese. E non è un caso se tra le prime firme, dopo quelle della famiglia Pinelli, Licia, Claudia e Silvia, e di Pia Valpreda, troviamo l’adesione della Comunità curda, perché oltre al ponte di dolore e rabbia che unisce piazza Fontana, Suruç e Ankara, c’è anche la condivisione di valori e aspirazioni.

E poi, diciamoci la verità, nei nostri mondi, quelli dei movimenti, dell’attivismo sociale e politico e delle varie disastrate sinistre, siamo rimasti parecchio smarriti dopo Parigi e abbiamo un disperato e urgente bisogno di ritrovare una voce, un punto di vista, un’opzione visibile e credibile. Non solo per noi stessi, beninteso, ma perché quando in mezzo a un presente in subbuglio, fatto di crisi europea sempre più acuta, di vecchie e nuove guerre permanenti, di stati emergenziali e di frontiere blindate, viene a mancare un punto di vista alternativo, allora diventa maledettamente concreto il rischio di finire schiacciati nella morsa dei fascismi in salsa islamica, come Daesh, e di quelli in salsa nostrana, da Le Pen a Trump e a Salvini.

E non è un bel vedere che in mancanza di questo punto di vista ci sia chi si accontenta di arruolarsi nella tifoseria del Putin di turno, se non peggio.

Non sarà certamente un 12 dicembre a risolvere i nostri problemi, ma da qualche parte bisogna pure iniziare e forse il giorno più adatto per farlo è proprio questo, poiché la memoria e la consapevolezza delle infamie di ieri aiutano a non perdere la lucidità nel presente.

Si parte alle ore 15.30 da P.ta Venezia, si passa anche dal consolato turco e si finisce in piazza Fontana, insieme ai familiari delle vittime della strage.