Il ministro dell’interno Minniti ha annunciato che nei prossimi giorni si recherà in Libia per negoziare con il governo Serraj, l’unica autorità nazionale libica riconosciuta dall’Italia, nuovi accordi di contrasto dell’immigrazione irregolare, senza però considerare la circostanza che la quasi totalità dei migranti che fugge da quel paese verso l’Italia, spesso a costo della vita, non è di nazionalità libica. Sono del resto note le condizioni di gravi vessazioni, se non di crudeli abusi, che subiscono tutti i migranti costretti ad attraversare la Libia e come le autorità militari che controllano singole parti di quel paese provvedano già aggi a deportazioni ed a riconsegne dei migranti irregolari entrati dal Sudan, dal Niger, dal Chad.

Eppure malgrado questi dati oggettivi confermati dalle principali agenzie internazionali come l’Organizzazione internazionale delle migrazioni, l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, Amnesty International ed Human Rights Watch, tra gli altri, si pensa ancora a stipulare accordi che per impedire gli arrivi sulle coste europee dovrebbero facilitare l’arresto dei migranti che dalla Libia tentano di attraversare le acque del Mediterraneo, sulla rotta più pericolosa del mondo, sulla quale lo scorso anno si sono contati oltre 4000 tra morti e dispersi. Senza contare le vittime invisibili, all’interno dei numerosi centri di detenzione dai quali si fugge solo se si riescono a corrompere le guardie. Luoghi di torture ed abusi terribili. Come testimoniano i migranti che sono riusciti ad arrivare in Italia, magari dopo una o due tentativi conclusi con l’arresto da parte di miliziani libici.

Nel mese di agosto dello scorso anno, si è diffusa la notizia ufficiale della conclusione di un Memoriale di intesa (Mou) tra EuNavFor-Med ed i vertici della Guardia costiera libica. Si tratta di un corpo militare che risponde soltanto ai comandi del governo Serraj, insediato a Tripoli dalle Nazioni unite, un governo che il parlamento di Tobruk ed il generale Haftar (sostenuto dagli egiziani) non hanno ancora riconosciuto. Il programma è stato concluso nella sua prima fase con la collaborazione di numerosi altri organismi quali Eubam Libia (Eu Border Assistance Mission in Libya), l’agenzia europea Frontex e le Nazioni unite.

Di fronte alla situazione di conflitto armato che si sta aggravando giorno dopo giorno in Libia attorno ai porti ed ai terminali petroliferi, rimane da chiedersi oggi quale sarà la portata effettiva della collaborazione che la Guardia costiera libica potrà garantire alle diverse navi europee impegnate in operazioni di ricerca e salvataggio. Rimane invece certo il destino delle persone che dopo essere state «soccorse» dai mezzi libici in acque territoriali, o in zona contigua, entro le 24 miglia dalla costa, saranno riportate a terra e internate nei tanti centri di trattenimento che esistono da anni in Libia. Luoghi nei quali si verificano abusi di ogni sorta, come documentato da testimonianze univoche ed inoppugnabili di tanti migranti che sono riusciti a fuggire, e hanno comunque raggiunto l’Italia.

I fallimenti delle missioni europee stanno riportando l’iniziativa per la conclusione di accordi di blocco e respingimento nelle mani dei governi dei paesi più esterni dell’Unione. Non sembra che gli accordi di polizia che adesso il governo italiano si mostra intenzionato a concludere con un governo vacillante che non controlla neppure l’intero territorio statale, come il governo Serraj, che non controlla neppure tutta la Tripolitania, possano garantire un contrasto più efficace nei confronti dei trafficanti ed un brandello di sicurezza in più ai migranti intrappolati nelle prigioni o nei compound libici. Quanto continua ad avvenire in Libia ancora oggi dovrebbe fare riflettere l’opinione pubblica ed i politici europei, non meno che i vertici militari e di polizia, sul fondamento giuridico e morale di accordi bilaterali con paesi che, sia in mare che a terra, non garantiscono i diritti fondamentali della persona, a partire dal diritto alla vita, e che non adempiono neppure gli obblighi di ricerca e soccorso in mare stabiliti dalle Convenzioni internazionali, come la Convenzione di Amburgo del 1979 e la Convenzione Unclos del 1984, che anche la Libia e l’Egitto hanno ratificato, e che dunque dovrebbero rispettare dotandosi di mezzi e assetti aero-navali di intervento, in accordo con i paesi responsabili delle zone Sar confinanti, come prevedono le stesse Convenzioni internazionali. Appare chiaro che ci vorranno mesi, se non anni, per dotare la Guardia costiera libica di mezzi e personale, e soprattutto di una cultura rispettosa dei diritti umani, per garantire la ricerca ed il soccorso delle imbarcazioni in difficoltà, al di là di sporadiche operazioni di blocco di imbarcazioni in mare, prima che queste raggiungano le acque internazionali, con interventi violenti che, come si è già visto, possono produrre esiti tragici. Operazioni di blocco che, se condotte in collaborazione con le navi europee al limite delle acque internazionali, potrebbero camuffare veri e propri respingimenti collettivi vietati dalle Convenzioni internazionali.

L’Italia e l’Unione europea, sotto la spinta di elettorati sempre più condizionati dai partiti populisti e dai nazionalismi più beceri, non si possono sottrarre ad una attività di ricerca e soccorso che preveda comunque intese, anche con le autorità libiche, volte comunque a favorire lo sbarco dei naufraghi in porti «sicuri», quali in questo momento non possono certo definirsi i porti libici.
Sarebbe importante che nella missione del ministro dell’interno Minniti in Libia gli aspetti della condivisione degli oneri di soccorso in mare e la tutela dei migranti prigionieri nei centri di detenzione in Libia, quanto meno nelle zone sottoposte al controllo delle autorità tripoline, venga messa al centro dell’agenda dei lavori.

L’immediata apertura di canali legali umanitari di ingresso per i migranti in fuga dalla Libia e il rinforzo delle missioni civili di ricerca e soccorso in mare, nelle acque limitrofe alle coste libiche costituiscono le uniche possibili soluzioni per una crisi migratoria che, se verrà ulteriormente accresciuta la pressione militare nella lotta contro i trafficanti, o peggio, se si praticheranno respingimenti collettivi avvalendosi della Guardia costiera libica addestrata per coordinarsi con i mezzi di Eunavfor Med e di Frontex nella ripresa dei gommoni in fuga verso l’Europa, rischia di tradursi in una serie ininterrotta di naufragi o di affondamenti, con migliaia di morti e dispersi.
*Associazione Diritti e frontiere (Adif)