Con la scomparsa di Luigi Caccia Dominioni non perdiamo solo l’ultimo protagonista della nostra architettura moderna, ma l’architetto che più si è distinto nel ricercare una via personale, fuori dalle scuole o tendenze, al tema dell’abitare e della città, interpretando la storia e il contesto (in particolare milanese), sempre attento ai cambiamenti della società e in sintonia con il progresso della tecnica.

LCD_Edificio residenziale Piazza Carbonari, Milano (1960-1961)
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Ormai centenario è riuscito a vedere l’ultima fase dell’evoluzione della sua città, quella sedotta dal conformismo degli stili internazionali e incapace ormai di esprimere una sua coerente e originale idea. Crediamo che non l’apprezzasse e non da ora, lui che a Milano destinò più di una riflessione critica, ma soprattutto gran parte della sua produzione di architetto, che iniziò subito nel dopoguerra. Dopo la laurea al Politecnico nel 1936, trascorso un breve periodo di lavoro in comune con i suoi compagni di studi, Livio e Pier Giacomo Castiglioni, la sua opera primafu infatti la ricostruzione del palazzo di famiglia in piazza Sant’Ambrogio distrutto nel 1943 dai bombardamenti.
Quando nel 1950 lo terminò rappresentava una novità per l’armonia della tripartizione del volume (basamento, involucro, coronamento) e la sobria decorazione che già denotavano quello che sarà definito da Ponti lo Stile di Caccia. Rispetto a «una società che assembla pacchianamente valori immortali con le minutaglie del quotidiano», come ebbe a dire in una intervista, le sue opere successive furono l’esempio di un esercizio continuo che nulla dava scontato e che si definiva nel dialogo tra razionalità e decoro, pragmatismo ed eleganza della forma, alla ricerca di valori che nella città storica permanevano, ma che il mercato immobiliare aveva definitivamente smarrito. Semplicità e rigore informavano, alla fine degli anni Cinquanta, i suoi progetti sia nelle aree periurbane (Uffici Loro&Parisini in via Savona) sia nel centro (Immobile di Corso Europa, Edificio residenziale di via Nievo).

LCD_Edificio di Corso Europa, Milano (1965-1966)
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Tutti si caratterizzavano per l’uso dei rivestimenti in litoceramica che avvolgevano come una sottile pelle i volumi e per la varietà delle aperture: «a nastro», in curtain wall, irregolari nelle dimensioni, con balconi appena sporgenti. In ogni intervento ciò che è riconoscibile sono sempre la gerarchia delle funzioni, il raffinato trattamento delle superfici e l’accurato dettaglio dei suoi elementi costruttivi: segni inequivocabili e imitatissimi delle architetture di Caccia Dominioni. Tuttavia, «tutto parte dalla pianta», amava ripetere, considerandosi anche «un gran lazzarone che lavora sodo».
Nell’Edificio residenziale di Piazza Carbonari (1960-61) dichiarò che la sua forma con il «suo strano tetto a falde, il frontone e gli arretramenti» non era altro che il risultato derivante dall’avere seguito pedissequamente le prescrizioni del piano regolatore: «ho tracciato delle linee che permettessero di sfruttare il maggiore volume possibile». Si scherniva nel dimostrare che il talento si esprime meglio attraverso i vincoli. Sono quelli dati dal caso (collegamento tra la Chiesa di san Fedele e la Chase Manhattan Bank, 1968-70), dal contesto urbano (Edificio di Corso Monforte, 1963-64) oppure, nel recupero edilizio, dai volumi esistenti (Casa Bassetti in via Gesù, 1960-62; Pinacoteca Ambrosiana, 1959-68).

Nel ventennio tra gli anni Sessanta e Settanta al «vivace sperimentalismo» (Ernesto N. Rogers), si affiancano progetti a scala urbana come il Quartiere San Felice (1967-75, con Vico Magistretti) che si pone – pur incompiuto nelle infrastrutture viarie – quale valido modello per la periferia con i percorsi carrabili e pedonali differenziati e la ricca serie di soluzioni abitative immerse nel verde. Nella sua concezione poliedrica e versatile del mestiere dell’architetto, «al servizio» di qualsiasi committente, Caccia Dominioni rifiutò di essere classificato «architetto della borghesia»; avrebbe preferito essere definito «barocco» se non fosse stato per taluni un aggettivo negativo.

Andava orgoglioso delle sue scale ellittiche, i soffitti curvi, le finestre strombate, gli spazi fluidi e avvolgenti come mostrano i suoi interni privati, ma anche il disegno ergonomico di alcuni suoi oggetti di design fino alla pregevole sistemazione di Piazza San Babila (1997). Con Caccia Dominioni scompare una delle poche voci dissonanti, non conformiste di Milano che con serietà, efficienza e impegno ha saputo meglio di altri interpretarla e comprendere.