Per Barack è l’ultima cena (di Stato). Per Matteo rischia di esserlo. Ma il fiorentino non è scaramantico s’immerge felice nell’oceano di lusinghe preparato per lui dal generoso ospite. Col codazzo che dà lustro alla penisola, Benigni, Sorrentino, la campionessa Bebe Vio, la scienziata Gianotti, la curatrice del Moma Antonelli, senza dimenticare la consorte Agnese, Renzi si gode il rullo di tamburi, il picchetto d’onore, l’ala nobile della Casa Bianca, i complimenti stereotipi del presidente al bel Paese («Amiamo il vino e Sophia Loren») e a lui personalmente («E’ giovane, è bello, sfida lo status quo, rappresenta una nuova generazione di leader nel mondo»). E scusate se è poco.

E’ facile che quando si spella le mani per una riforma della quale probabilmente sa ben poco Barack Obama reciti una parte. Non così quando fiancheggia l’ospite nella santa guerra contro l’austerity. Ma quale rigore! Quel che serve è rilanciare la domanda, puntare «sulla crescita, sugli investimenti che creano lavoro». Musica per le orecchie di Renzi che ringrazia il Paese della Libertà «per lo straordinario supporto per affermare un paradigma di crescita e non di austerity». Ringraziamenti calorosi ma anche sentite scuse «per aver copiato l’espressione Jobs Act, che ha portato 588mila posti di lavoro». Il festeggiato sorvola sui dati che quasi nello stesso momento confermano il fallimento del provvedimento dal nome copiato. Guasterebbe la festa.

Nel corso della conferenza stampa congiunta si capisce quali interessi strategici motivino l’entusiasmo della coppia ormai quasi ex presidenziale, nei passaggi sul ruolo essenziale dell’Italia in Libia e soprattutto in quelli a proposito di Putin. Ma sulla crociata anti austerity non c’è retropensiero che tenga. Obama e Renzi la pensano davvero allo stesso modo e, sia pur non decisivo, il sostegno degli Usa sarà una mano santa nel braccio di ferro con la Ue che attende Renzi da questa parte dell’Atlantico.

Non sarà una passeggiata. La legge di bilancio è arrivata sui tavoli europei ieri mattina, con qualche oretta di ritardo. Discrezione vuole che le dichiarazioni ufficiali non vadano oltre la garanzia che il voto verrà dato entro la fine di novembre, prima del referendum. Ma la parola scritta non è piaciuta a Bruxelles più delle precedenti slides. Non è solo questione di decimali, anche se quell’1,6 mld che sfora il tetto massimo del 2,2% ai ragionieri non va giù. Ma il punto dolente non è quello. Il guaio è che le misure del governo sono tutte una tantum. Il condono potrà servire a fare cassa quest’anno, ma non c’è traccia di progetti strategici che consentano anche solo di sperare in un’inversione di tendenza.

Il condono? Ma quale condono: «Non ce n’è traccia», giura il ministro Padoan. Purtroppo molti, in Italia e fuori, rintracciano in una norma che permette di riportare i capitali evasi in Italia senza pagare dazio e che si allarga anche ai contanti, tipo quelli che Fabrizio Corona teneva nel sovrasoffitto, precisamente un condono, o almeno una sanatoria. In Europa storcono il naso perché è una di quelle misure che quantificarne il ricavato (10 mld secondo il governo) significa tirare a indovinare e perché è una toppa che andrà bene, forse, giusto per un anno. In Italia ci sono alcuni motivi di preoccupazione in più e nel Pd è l’ennesimo pomo della discordia.

I tecnici dell’Agenzia delle entrate temono che la misura avrà effetti devastanti sul gettito e prevedono inevitabili contenziosi a valanga. La minoranza Pd è sul piede di guerra. «Certo che è un condono, e peggio sui contanti, come se uno si tenesse tanti soldi guadagnati legalmente in casa», sbotta l’ex ministro Visco. «Se conservi milioni sotto il materasso guadagnati chissà come, lo Stato non può chiudere un occhio», duetta Speranza. La disclosure, che della manovra è l’anima, sarà una via crucis. Ma il Renzi rinfrancato dai complimenti di Obama la percorrerà perché di quei soldi ha bisogno e ancor più perché conquistare il voto di destra per lui è questione di vita o di morte. E’ il primo a sapere che gli agnolotti di ieri potrebbero non essere il piatto finale solo per Barack Obama.