Costava due milioni di lire una postazione con telecamera su balcone, per la ripresa della sequenza. La galoppata selvaggia, senza il cerimoniale che la precede, dura poco più di un minuto. Ma che minuto! La grande conchiglia da cui prende forma la piazza diventa un’arena dove strepitano, eccitati dal rincorrersi, i berberi montati a pelo, mentre la folla debordante sembra inghiottire in più punti le transenne in legno che ne delimitano i margini adattati a pista. Al Palio di mezz’agosto 1993, vinto dalla contrada del Drago, la disputa sul Campo di Siena venne segnata da troppi cavalieri finiti nella polvere. All’avvio, come da copione, ne erano allineati dieci. All’arrivo, dopo i tre giri regolamentari, rimanevano in groppa soltanto in due: Trecciolino della Civetta e Massimino della Selva. Gli altri, disarcionati, erano finiti nel tufo che ricopre il lastricato di pietra; intanto i loro cavalli ormai lanciati andavano a chiudere la carriera con Vittorio (il berbero del Drago) davanti a tutti. Alcuni contradaioli, giovanissimi e seminudi, che sin dal mattino erano venuti ad appollaiarsi sulle transenne, si provocavano vicendevolmente e si insultavano, sotto un sole sadico che li dardeggiava, senza mai giungere al contatto fisico. Quelli della contrada vincitrice, a fine giornata, si fiondavano verso il palco per impossessarsi del “cencio” (simbolo del primato) e formare il corteo che si sarebbe diretto al duomo per la benedizione e il “te deum” di ringraziamento.

Su un balcone affittato, in cinque-sei fra americani e giapponesi con telecamere, sebbene si praticasse lo sconto di gruppo, qualcuno si era messo a reclamare un’ulteriore riduzione di prezzo. Un turista americano, che sulle prime sembrava intendesse fare una burla – raccontava un contradaiolo capitato sul pullman che ci riportava nella nostra città -, rimasto bloccato su nel palazzo per la ressa scatenatasi in strada, fra le vie di Città e dei Banchi di Sotto, pretendeva un parziale rimborso della somma pattuita e già pagata: la ripresa doveva comprendere tutti i personaggi che costituiscono la scenografia del Palio, fantini compresi. Invece così non era stato – sosteneva – poiché ben otto cavalieri non avevano concluso la corsa. A una simile richiesta, ritenuta assurda, il proprietario del balcone, senese, replicava piccato. Non solo non restituiva una lira, ma rilanciava, chiedendo a sua volta un sovrapprezzo per ciascuno degli occupanti il balcone: l’inseguimento di cavalli cui si era assistito, in quel ferragosto, sarebbe passato alla storia come un evento straordinario, documentato proprio grazie all’apparecchio da ripresa che ciascuno dei turisti ospiti a pagamento portava con sè. Alla vista di uno spettacolo così emozionante, con otto cavalli scossi (senza fantino), e al Palio non accadeva forse da decenni, non c’era prezzo per assistervi. Il contradaiolo sul pullman sembrava più che convinto: gli americani prima di lasciare il balcone, senza più discutere, avrebbero dovuto pagare un sovrapprezzo. Il Palio a Siena è spettacolo, ma anche affare. Un affare molto serio.