Richard Feynman, uno dei più grandi fisici del XX secolo, premio Nobel per la fisica, diceva che quando non capiva qualcosa aveva una fastidiosa sensazione di frustrazione — si sentiva come una grande scimmia che prova a unire due bastoni per raggiungere una banana su un albero e non ci riesce. È così: noi esseri umani quando non capiamo le cose non siamo del tutto contenti. Ce lo abbiamo scritto dentro. Siamo grandi scimmie che l’evoluzione ha dotato della capacità di farsi domande sul funzionamento del mondo. Ne va della nostra sopravvivenza. Poi però ci abbiamo preso gusto, non ci siamo limitati a capire come mettere insieme due bastoni per prendere un frutto da un ramo, ma abbiamo cominciato a farci domande più grandi, più astratte.
Io ogni tanto immagino un Feynman del paleolitico che di notte guardava le stelle nel cielo, incantato, e si chiedeva che cosa fossero quei puntini luminosi, quanto fossero lontani, e se si potessero mettere insieme due bastoni abbastanza lunghi per toccarli. Cosa potevano fare quei primi uomini per capire le cose, per metterle un po’ in ordine? Inventavano delle storie. Per esempio, ci sono storie molto affascinanti, in tutte le culture e in tutte le epoche, che raccontano come è iniziato tutto quanto, come è nato l’universo. È bello ascoltarle, magari attorno a un fuoco, però c’è un problema: queste storie sono tutte diverse. Come facciamo a sapere se c’è ne è almeno una vera? Ci vuole un metodo.
Il metodo ce lo abbiamo soltanto da quattro secoli, più o meno. Il metodo scientifico, sperimentale, galileiano: osserviamo la natura, facciamo ipotesi sul suo funzionamento, mettiamole in una forma rigorosa, logica, possibilmente matematica, e poi lasciamo che sia la natura stessa, con l’esperimento, a fare da arbitro fra le varie ipotesi. Ecco: si potrebbe dire che il metodo scientifico è una modo per selezionare le storie che descrivono meglio la realtà. Galileo, tra l’altro, è il primo che riesce a costruire un bastone per toccare le stelle: guardando dentro il cannocchiale si avvicina al cielo, e ci vede cose che nessuno ha mai visto prima.
Galileo diceva anche che se vogliamo conoscere la storia dell’universo non dobbiamo cercarla nei libri, ma possiamo leggerla nell’universo stesso. L’universo è un libro che ci sta sempre aperto davanti agli occhi, un libro scritto in linguaggio matematico. Se impariamo il linguaggio, e se impariamo a osservare, ognuno di noi può leggerlo direttamente.
Tra l’altro, noi oggi sappiamo una cosa pazzesca, che Galileo non sapeva: la luce viaggia nello spazio vuoto a velocità finita, 300 mila chilometri al secondo. Questo significa che la luce impiega un certo tempo a percorrere la distanza che ci separa da un oggetto distante, e perciò noi vediamo quell’oggetto non com’è ora, ma com’era quando la sua luce è partita da laggiù. Per esempio, la luce della Luna ci arriva circa un secondo e mezzo dopo essere partita, quindi quando guardiamo la Luna la vediamo come era un secondo e mezzo fa. Guardare lontano nello spazio significa quindi anche guardare indietro nel tempo, e più guardiamo lontano, più guardiamo indietro. Ogni immagine è un fantasma, e il cannocchiale è una macchina del tempo. E l’universo è molto grande, ed esiste da circa quattordici miliardi di anni, per cui quando guardiamo molto lontano nello spazio vediamo stelle e galassie sempre più antiche, un po’ come se fossimo archeologi che scavano nel passato. Spingendoci a guardare sempre più lontano ci accorgiamo che non ci sono più stelle e galassie da osservare, perché dovevano ancora formarsi. Ma se ci spingiamo ancora oltre, più lontano e più indietro, arriviamo a vedere l’universo appena nato. Riusciamo cioè a vedere direttamente il bagliore del big bang, e in quel bagliore distinguiamo i grumi casuali presenti nella materia primordiale, i semi da cui, nel corso di miliardi di anni di storia, la gravità ha fatto addensare gli abbozzi di materia che poi sono diventati stelle e galassie.
E a un certo punto, dopo molto tempo, intorno a una delle centinaia di miliardi di stelle di una delle centinaia di miliardi di galassie dell’universo, si è formato un piccolo pianeta umido, e su quel pianeta è iniziato un fenomeno fisico chiamato vita; e attraverso un processo accidentale di mutazioni e selezione sono spuntate fuori queste grandi scimmie che hanno iniziato a farsi domande sul mondo e sono riuscite a mettere insieme due bastoni abbastanza lunghi per toccarci le stelle, e per andare anche oltre.