Il Presidente del Consiglio, Matteo Renzi, promette un nuovo bonus, 500 euro per i 18enni, da spendere in attività culturali. Le obiezioni in merito non coincidono esclusivamente con la consueta strategia del consenso, iniziata dall’ormai nota vicenda del bonus 80 euro a pochi giorni dalle elezioni europee. No, le obiezioni riguardano la visione, gli obiettivi della politica economica di fronte a una realtà sempre più diseguale.

Innanzitutto, come per gli sgravi sul costo del lavoro a pioggia, confermati con modifiche nella nuova legge di Stabilità oggi alla Camera per l’approvazione, un bonus indiscriminato ha il potere di aumentare le disuguaglianze tra i diciottenni.

In Italia, ma non solo, il background familiare è determinante per le scelte scolastiche, lavorative, di status. Banalmente, i ragazzi che hanno in casa libri, leggono più di quelli che in casa non hanno libri. Lo stesso vale per le altre attività culturali.

Chi saranno dunque quelli che potranno beneficiare di questo bonus? Soprattutto i figli delle cosiddette classi medio-alte, cioè chi al cinema o a teatro andrebbe lo stesso. In questo senso, il bonus non è altro che un trasferimento indiretto a chi ne ha meno bisogno, a chi può già permetterselo o comunque lo farebbe. Non viene quindi aggredita quella parte di deprivazione materiale legata al consumo di beni culturali, che si traduce in conoscenza e cultura. Ma se da un lato le disuguaglianze tra chi sta in alto e chi sta in basso tenderanno ad aumentare, dall’altro, aumenteranno anche le disparità orizzontali, cioè tra coloro che, seppure mediamente nella stessa condizione economica, vivono in territori differenti con dotazioni infrastrutturali e culturali differenti.

Davvero si crede che un diciottenne di Catanzaro abbia le stesse possibilità di un suo coetaneo che vive a Roma o a Napoli, pur appartenendo a una famiglia ugualmente agiata e con gli stessi 500 euro in tasca? Quanto tempo (e soldi) impiega il primo a raggiungere un’altra città in cui esiste almeno un museo? Disuguaglianze che aumentano oggi e che saranno determinanti nel futuro di questa generazione.

E poi c’è la visione d’insieme, quell’organicità che manca al governo schiacciato dal bisogno di raggiungere un ampio consenso effimero, che lo tenga a galla nel breve periodo al fine di poter perseverare i propri ambiziosi obiettivi di potere di lungo periodo.

Questo tipo di politiche infatti rivela il disconoscimento da parte del governo, ma forse soprattutto del Premier e dei suoi consiglieri, della condizione in cui versa il settore della cultura in Italia, la sua reale diffusione sul territorio, vessati costantemente dalle politiche di austerità, prima ancora che l’austerità diventasse moda irrinunciabile, e dall’affarismo sempre legato al cerchio magico (basti ricordare come il teatro Smeraldo di Milano sia diventato una filiale del regno di Eataly). Chi decide oggi in Italia cosa è cultura e cosa non lo sia. Abbiamo il diritto di rivendicare che fa parte della cultura una serata di musica in un centro sociale occupato?!

Infine, l’atteggiamento mediocre, ma pur sempre interessato, evidenzia un disinteresse sostanziale per questi giovani pronti alla maturità. Chi dovrà guidare questi ragazzi alla scoperta delle opere storiche di un museo, di un giardino, di una tela del Cinquecento? Pensiamo davvero che la trasmissione della cultura avvenga così in via del tutto automatica, considerando anche i tagli all’educazione in cultura o semplicemente in storia dell’arte?

A volte vien francamente da chiedersi se Matteo Renzi con il suo fare improvvisato non voglia soltanto distogliere la nostra attenzione dai nodi nevralgici della Legge di Stabilità, usando sempre la stessa strategia: far credere che siano tutti uguali, adottando un approccio trasversale che appunto non farà altro che inasprire le distanze in una realtà già frantumata.