Se Woody Allen fosse stato italiano avrebbe inserito le canzoni di Fabrizio De André tra le cose per cui vale la pena vivere. E, a tre anni di distanza dal cofanetto I concerti, ecco In studio, 126 brani, l’opera omnia delle registrazioni in studio, quindi 14 dischi, oltre a 7 canzoni raggruppate sotto il nome di I singoli. Il tutto con un volumone di circa 200 pagine (99 euro, tanti, ma li vale tutti), ricchissimo di illustrazioni e considerazioni, curato dalla Fondazione Fabrizio De André (e da Arturo Bertusi per la grafica, che ha voluto togliere la patina storica per restituire la contemporaneità).
Se nei concerti era prevalente il momento pubblico, qui le fotografie spontanee e meno promozionali, rimandano un Fabrizio più intimo, privato. Come sempre è Dori Ghezzi a raccontare il progetto, realizzato con Sony (e completato con alcuni titoli concessi da Universal) per tenere sempre alta l’attenzione nei confronti del lavoro di Fabrizio (per inciso celebrato anche negli Istituti italiani di cultura e oggetto del capitolo di un libro sui cantautori italiani scritto da un autore cinese).

Il ricambio generazionale ha fornito nuova linfa per proseguire e rinnovare il culto laico di una persona che come poche ha saputo raccontare poeticamente attraverso le canzoni. Per i pignoli ne mancano due: Nuvole bianche «una delle prime incisioni in cui Fabrizio non si riconosceva più» e Caro amore, Aranjuez «perché l’autore Joaquin Rodrigo non voleva che fosse eseguito con un testo» racconta Dori. La moglie del cantautore ha vissuto in studio molte di queste registrazioni – «ancora adesso lo studio è la parte che amo» -ma non vuole andare in tv. Preferisce lavorare con la Fondazione sull’immenso lascito umano e artistico di Fabrizio, nulla di inedito, però lui, terminata la tournée che in realtà non riuscì a concludere, avrebbe voluto lavorare su quattro notturni, ognuno con chiavi musicali diverse (jazz, rock, etnica e sinfonica) e non è detto che su quegli appunti non si costruisca qualcosa con il supporto di musicisti scelti e dei Conservatori di Milano e Roma. Ma un altro progetto è in cantiere e pare stia avvicinandosi alla concretizzazione: un film.

Dopo avere scartato l’ipotesi fiction tv – «volevano partire dal sequestro usandolo come chiave, mentre quello è solo un episodio della vita di Fabrizio» spiega Dori – «siamo soddisfatti della sceneggiatura di Francesca Serafini e Giordano Meacci, i due giovani che hanno scritto anche Non essere cattivo di Caligari, il regista dovrebbe essere Luca Facchini, che aveva realizzato A Farewell to the Beat con Fernanda Pivano e speriamo di farlo l’anno prossimo, solo che ci manca il protagonista, che non deve essere tale e quale»: deve dare corpo all’animo di Fabrizio. Poi si chiacchiera e affiora un ricordo bizzarro con De Andrè che cantava a squarciagola per viale Papiniano a Milano «sono la pecora sono la vacca…» perché voleva che per Princesa ci fossero i rumori autentici della strada. Naturalmente dovette ricredersi.