Per un quarto di secolo il Noir in Festival si è svolto a Courmayeur. Letteratura e cinema di genere hanno ripreso a spostarsi. Così, questa edizione numero 26 è a cavallo tra Como e Milano. Qui, sulle rive del Lario (con una piazza del Duomo suggestivamente illuminata per le feste), ancora viene raccontato di quando uno sconosciuto regista inglese venne a girare un film. Era il 1925, il film si sarebbe intitolato Il labirinto delle passioni, firmato da Alfred Hitchcock all’esordio. Hitch che doveva anche occuparsi di produzione fece un sacco di pasticci e finì per venirne a capo grazie a Alma Reville, aiuto regista e segretaria di produzione che divenne sua moglie per il resto della vita.

Il maestro del noir debuttò quindi su queste acque che ora ospitano il festival specifico. Iniziato con la consegna del premio Chandler a Roberto Saviano, di cui Feltrinelli ha appena pubblicato La paranza dei bambini, sulla disperata criminalità infantile napoletana. Scenario il teatro Sociale di Como, un gioiellino di teatro all’italiana, stracolmo nelle poltrone di platea e nei palchi.
Pubblico appassionato e attento anche alla presentazione del nuovo libro di Gianrico Carofiglio, L’estate fredda (Einaudi), con l’autore sollecitato da Ranieri Polese capace di leggerezza nel citare aneddoti e curiosità del suo passato di magistrato in quel di Bari e sull’idea di utilizzare il linguaggio surreale dei verbali di polizia alternato a quello letterario abituale. La vicenda parte da un paio di dati reali. L’estate del titolo è quella del 1992, quando a Palermo vengono ammazzati Falcone e poco dopo Borsellino.

La vicenda però si svolge a Bari dove si indaga sulla scomparsa del figlio di un boss locale. Scomparsa mai denunciata, mentre in un fine settimana sono stati messi insieme i, tanti, soldi del riscatto. Episodio anche questo autentico, venuto alla luce solo molto più tardi, trattato però con varianti legate alla fiction.
Fiction anche sui Medici che ieri sera è andata in onda negli Usa, in Gran Bretagna, Canada e India via Netflix. Ma qui, in realtà è stata affrontata da un punto di vista letterario con Matteo Strukul, autore di una trilogia sulla famiglia fiorentina che ha spopolato alla fiera di Francoforte. E Strukul rivendica solo una cosa: che gli italiani dovrebbero dedicarsi di più a raccontare la loro storia, saccheggiata da autori di altri paesi. Congiure, omicidi, avvelenamenti che trovano collocazione adeguata nel Noir.

Per il cinema Adriano Giannini ha presentato il corto Sarà per un’altra volta, titolo ironico, una nostra progenitrice scopre il fuoco ma un nostro violento progenitore ammazza lei e spegne la scoperta sul nascere. Poi è toccato a Jean-François Richet mostrare Blood Father, una storia davvero borderline che vede protagonista Mel Gibson. Lui si è fatto anni di galera. Da poco è uscito, da un po’ più di tempo è sobrio. Campa come tatuatore, vivendo in una roulotte.

Anni prima sua figlia adolescente, che viveva con madre e patrigno di turno, è sparita. La ritroviamo tossica con un gruppo di criminali di un cartello messicano il cui capetto, più che come boyfriend, si comporta come reclutatore. Infatti la vorrebbe spingere a compiere un omicidio, lei recalcitra e nella confusione stende il capetto. E fugge, braccata dalla banda. Non trova di meglio che chiedere aiuto a papà. Che rimette in discussione il suo futuro per riconquistare l’affetto della figlia scapestrata. Ritmi serrati, concitati a un punto tale da impedire qualsiasi domanda sul perché di certe situazioni. Basti dire che uno spettacolare scontro tra una moto e un camion è liquidato in un paio di secondi, che il mentore di Gibson viene ucciso con un colpo di fucile sparato camminando, senza altre inquadrature e così via.
Adrenalina distillata per poco meno di un’ora e mezza, farcita con attori davvero curiosi, oltre al Gibson barbuto e nerboruto, la giovane squinternata Erin Moriarty, il sempre grande William H. Macy, Diego Luna e Michael Parks.