Un Massimo D’Alema men che trentenne che media su Bella Ciao fra i repubblicani che vogliono l’inno di Mameli e i comunisti fanatici di Bandiera Rossa (ma ognuno alla fine farà come vuole, una comica degna dei Marx) mentre c’è da trovare un tricolore che nessuno aveva portato dall’Italia e che va rimpicciolito perché quello trovato all’ambasciata è più grande del vessillo della delegazione sovietica (si rischia l’incidente diplomatico), con Fidel che sotto il sole non finisce di parlare, è una delle pagine più allegre che ultimamente ci è capitato di leggere. Era l’estate del ’78 e all’Avana si teneva il Festival internazionale della Gioventù. Perché una volta, ragazzi, quando c’erano i comunisti, l’Erasmus si faceva a Cuba. E comunista a pieno titolo era Paolo Pietrangeli («perché sei comunista» gli chiese una volta suo padre; e lui fiero: «perché sarò sempre dalla parte di Spartaco») e che al festival, in rappresentanza della militanza musicale italiana, c’era arrivato con gli Area, il Canzoniere del Lazio e Francesco Guccini. «Tutti ospitati nelle camerate delle caserme dell’Avana. Guccini all’Hilton. Tutti a cantare due, tre volte al giorno, dappertutto, per strada, nei campi della canna da zucchero, davanti alla casa di Hemingway, nell’ospedale psichiatrico, nella fabbrica di sigari e poi nei tre concerti ufficiali in teatro. E Guccini solo nei concerti ufficiali a teatro». Anche Cuba isola dei privilegi?

Va letto come un diario sentimentale e una ballata emozionale, un cruciverba della storia e una «drummata» dell’esistenza, questa Spremuta di vita (Navarra Editore), debutto letterario di Paolo Pietrangeli, presentato nei giorni scorsi a Sesto Fiorentino dell’Istituto Ernesto De Martino che l’ha tenuto a battesimo insieme a Gianni Mura, estensore della prefazione. Un mix di racconti, episodi e ballate che accorcia le distanze sentimentali di una generazione ormai di certo dispersa ma sempre di buona memoria. Come gli studenti in corteo a Pisa nel ’68 che Contessa la cantano solo col passaparola («c’ero anch’io, non ci potevo credere, tutte quelle ragazze e quei ragazzi che sfilavano cantando una canzone che credevo di conoscere solo io e poche altre persone») e che all’università al corso sulla poesia italiana tenuto da Asor Rosa, diventa un caso. Chi lo usa il dodecasillabo? Manzoni «dagli atri muscosi, dai fori cadenti» e Pietrangeli «compagni dai campi e dalle officine».

I succhi della «spremuta» sono i Dischi del Sole, le fabbriche, le Feste dell’Unità, sono i boia chi molla di Ciccio Franco a Reggio Calabria («che se non cantavo l’inno dei sommergibilisti forse non sarei qui a raccontarlo»), sono il cinema di Porci con le ali e Bianco e Nero (lo vide in anteprima Pajetta: ‘ma è un film fascista, parlano solo loro, almeno metteteci la voce di una speaker che spieghi’, così fu per disciplina di partito e fu un flop») e poi gli aiuti di Fellini per Roma e di Visconti per Morte a Venezia, sono il Maurizio Costanzo Show («un contratto a stagione che sarà rinnovato per 23 anni»), sono gli amici del padre (Flaiano, Scola, Pasolini, Federico Zeri) e gli amici di una vita, i compagni di viaggio e di protesta: Giovanna Marini che «se qualcuno perde un affetto per sempre (il padre Antonio che aveva 49 anni, il figlio Lorenzo che aveva 4 mesi, ndr) deve chiamare Giovanna: possiede una capacità di lenire il dolore che ti può portare persino al sorriso nei momenti più dolorosi», e Ivan della Mea «che le cose non te le mandava dire, con lui ho litigato in più di 40 anni decine di volte e altrettante volte ho fatto pace». Sono i ricordi che «adesso vorrei che non finissero mai ma se ti chiedono del ’68 rispondi che non ricordi più niente, mi consigliò Alberto Olivetti» e sono le canzoni. La più amata, dopo Contessa, Pietralata 96: «E la Sinistra tornerà la mano del mio cuore / e nel frattempo crescerà la libertà e l’errore / se nel tremila sarò qua / saresti tu il mio errore e la mia libertà».