Ci sono amiche che possono chiacchierare liberamente a cavalcioni su un muretto, o sedute ai tavolini di un bar, dando ascolto all’umore del momento, e altre che invece devono fare ciò per cui sono state programmate, senza commettere fatali errori. Freida e Isabel appartengono a questa seconda specie, ragazze ossessionate dalla cura del corpo e dalla socievolezza a ogni costo perché è così che sono state allevate in laboratorio, con un fine ben preciso: divenire le giuste partner di maschi alfa.
Con un mix di ironia e molte ombre oscure che si addensano sui personaggi, l’irlandese Louise O’Neill ha licenziato il suo romanzo di esordio per lettori young adult Solo per sempre tua (in Italia pubblicato nella collana HotSpot de Il Castoro, pp.368, euro 16,50), che presto finirà sugli schermi cinemotografici, dato che i produttori di Carol hanno comprato i suoi diritti. O’Neill è ospite al Festivaletteratura di Mantova: parlerà in pubblico oggi presso la Casa Mantegna (ore 15).

La lettura del suo libro richiama alla mente il film «La fabbrica delle mogli», che però – se si esclude il remake di Frank Oz – uscì negli anni 70, in una società molto diversa da quella odierna. Pensa che la percezione del corpo femminile sia mutata negli ultimi decenni?
Uno degli appunti che ho preso mentre scrivevo Solo per sempre tua diceva proprio che il romanzo doveva essere un incrocio fra il futuristico La fabbrica delle mogli e Il racconto dell’ancella di Margaret Atwood, pubblicato nel 1985. Credo sia interessante constatare quanto siano ancora attuali nel 2016. La sessualizzazione e l’oggettivazione del corpo femminile rappresentano qualcosa che è sempre esistito ma, se possibile, negli ultimi anni la situazione è andata peggiorando. Oggi la pubblicità, i media tradizionali e gli stessi social ci bombardano costantemente di immagini di donne «perfette», di volti e corpi filtrati oltre ogni limite. È come se i parametri di ciò che è considerato attraente stiano diventando sempre più ristretti, sottoponendo le donne a un enorme stress per raggiungere un ideale di bellezza spesso irraggiungibile.

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Attraverso una visione fortemente distopica della realtà, il suo romanzo dice molte cose sul mondo in cui viviamo…
Penso che qualsiasi autore/autrice che scriva un romanzo distopico si ispiri a quegli elementi della cultura contemporanea che giudica problematici, conflittuali. Con Solo per sempre tua volevo esplorare l’idea secondo cui il valore di una donna dipende direttamente da quanto gli uomini la giudicano attraente. Volevo indagare l’impatto psicologico – e non solo fisico – di questa «richiesta». Esagerando alcuni aspetti della nostra società attraverso la lente distopica potevo far emergere quanto il modello patriarcale sia per sua stessa natura ridicola, e gli standard che fissa del tutto arbitrari.

Lei è nata in Irlanda, un paese in cui la libertà femminile è un processo in divenire. La sue radici sono state importanti per la sua attività letteraria?
Amo l’Irlanda, la sua comunità femminista è forte e in costante crescita. Però sì, certamente vi sono nodi irrisolti, non ultimo il fatto che l’aborto sia ancora illegale. L’Irlanda ora è molto più laica, ma io sono cresciuta in un contesto cattolico, ossia quello di una religione che, alla base, è profondamente patriarcale. Questo ha influenzato il modo in cui vedevo me stessa e il ruolo che credevo di dover svolgere nella società per il solo fatto di essere nata donna. Il mio lavoro e la percezione che ho di me stessa ne hanno risentito in modi che mi è impossibile spiegare. Nel mio paese, comunque, ci sono tante scrittrici e scrittori che reputo straordinari. Adoro Lisa McInerney e Belinda McKeon, e tutto ciò che viene pubblicato da Tramp Press (casa editrice indipendente fondata da Lisa Coen and Sarah Davis-Goff, ndr). Marian Keyes è una delle mie scrittrici preferite, leggere i suoi libri è una gioia. Come autrice, trovo una fonte costante di ispirazione in John McGahern e nella sua capacità di sottintendere così tanto dicendo così poco. Le sue opere sono davvero potenti.

In Italia, il governo ha istituito un «fertility day» che ha sollevato molte polemiche. Ha seguito la discussione?
Ho seguito la controversia con interesse. Come donna poco più che trentenne che non ha alcun desiderio di avere figli, questa campagna mi mette molto a disagio. Il modo in cui gli annunci si rivolgono alle donne non fa che rafforzare un’idea arcaica. I ruoli all’interno delle relazioni dovrebbero essere determinati dai punti di forza individuali e non dal genere – che, come ci ha insegnato Judith Butler, non è altro che una costruzione sociale. C’è qualcosa di davvero terrificante nel sentirsi dire dal proprio governo di procreare. Ricorda molto le opere di Margaret Atwood.