La fama di Jo Nesbø è legata fondamentalmente al ciclo di libri che vede protagonista il detective Harry Hole. Nel nostro paese la pubblicazione di questi romanzi è stata alquanto travagliata. I primi due noir, infatti, non erano mai usciti e si era partiti direttamente con il primo libro della cosiddetta trilogia di Oslo, Il pettirosso. Adesso, finalmente, dopo aver pubblicato l’anno scorso il primo libro della serie, Il pipistrello, è uscito anche da noi il secondo, intitolato Scarafaggi (Einaudi, pp. 432, euro 20).
Come nel caso del romanzo precedente, l’azione non si svolge in Norvegia, patria di Harry, ma all’estero. Se la prima indagine era ambientata in Australia, in questa storia troviamo il detective norvegese mandato a indagare in Thailandia, a Bangkok. Sembra che l’autore abbia voluto presentare il suo personaggio ai lettori, togliendolo dal suo habitat naturale, quasi a volersi concentrare sulle sue caratteristiche, sul suo modo di agire e di relazionarsi con gli altri, sulla sua maniera di investigare e di farsi coinvolgere – spesso suo malgrado – dai casi che gli vengono affidati.

Insomma quasi a volerlo innanzi tutto esporre, per così dire, nudo allo sguardo di chi legge. Un’impressione rafforzata, tra l’altro, dalla lettura degli altri romanzi del ciclo, dove i colleghi, l’ambiente di vita e di lavoro, l’ambito familiare, addirittura il passato della Norvegia, svolgono un ruolo fondamentale nelle storie di Hole. E dove la storia principale risulta inframmezzata da varie sottotrame che, pur senza toglier nulla alla possibilità per il lettore di fermarsi al singolo libro, trovano soluzione soltanto nei romanzi successivi. E dove proprio la rete di rapporti che avvolge Harry ha sempre un ruolo determinante.

La storia inizia con il ritrovamento del cadavere dell’ambasciatore norvegese in un bordello di Bangkok. Il giovane ispettore Harry Hole, reduce dal successo in Australia, viene inviato nel paese asiatico ad affiancare la polizia locale. Le sue istruzioni sono chiare: chiudere al più presto il caso con discrezione e, comunque, fare il meno possibile per non creare casini. Harry è un alcolizzato e nel momento in cui gli viene affidata l’indagine si trova nella fase massima della sua dipendenza, praticamente non va più al lavoro e trascorre il tempo ubriacandosi.

Nessuno, nelle alte sfere, in realtà pensa che possa farsi coinvolgere e quanto meno risolvere il caso. Naturalmente le cose non andranno così e dietro quello che sembra un delitto legato al mondo della prostituzione emergeranno intrecci sporchi tra finanza, politica, malavita. Insomma, come del resto accade con i maggiori narratori del noir scandinavo e non solo, anche Jo Nesbø, fin dalle sue prime prove, decide di mettere in evidenza, denunciandoli, quei meccanismi di potere tipici della società capitalista contemporanea.

Tutto questo senza assolutamente «pesare» sul ritmo e sulla suspence tipica del thriller. Scarafaggi si legge davvero tutto di un fiato, grazie al montaggio veloce e a una scrittura tagliente e rapida. Inoltre l’interiorità del protagonista emerge con tutte le sue contraddizioni, la sua tendenza autodistruttiva, il suo rifugiarsi in alcool e droghe, ma anche la sua volontà di capire, di non mollare mai senza fermarsi alla soluzione a prima vista più semplice. E anche gli altri personaggi risultano dotati di spessore psicologico, con le loro manie, le loro contraddizioni, i loro fantasmi. Dalla coppia di poliziotti con cui si trova a lavorare Hole alla moglie alcolizzata della vittima, dalla puttana con i pattini all’ex soldato di ventura, dal sosia di Jimi Hendrix all’affascinante consulente finanziario, dal capo della comunità di norvegesi residenti a Bangkok alla ragazza con un braccio solo: ognuno viene descritto a tutto tondo con le sue meschinità, desideri, paure, pregi.

Il tutto in una Bangkok estremamente vivida e reale, allo stesso tempo odiosa e splendida, descritta con toni crudi e simultaneamente appassionati, che lasciano spazio a fenomeni odiosi quale la prostituzione infantile ma fanno emergere, anche in modo chiaro, la dignità quasi insospettabile dei suoi abitanti più emarginati.
E, quasi a confermare la passione più volte dichiarata da Jo Nesbø nei confronti del cinema e le caratteristiche davvero cinematografiche della sua scrittura, anche in questa storia, come poi ne Il pettirosso, la soluzione del caso è legata a un problema di visione. Lì ad un certo punto si sa chi sia l’assassino, perché si conoscono il suo passato e le sue motivazioni – e il lettore ne viene messo a conoscenza addirittura prima del detective – ma non si sa quale aspetto e quale identità abbia nel presente, in Scarafaggi non solo qualcuno vede però non riconosce il colpevole ma c’è anche una sorta di gioco di visioni legato a una telecamera in un parcheggio.