Da quando abbiamo incontrato Aleksandr Sokurov non molto tempo fa, alla mostra di Venezia dove si presentava Francofonia, le Louvre sous l’occupation, ora che il film è nelle sale sembra passato un intero periodo storico, dopo il massacro di Parigi. Alcune delle risposte che allora potevano lasciare interdetti, appaiono adesso premonitorie. Sokurov lo abbiamo incontrato anche nel 2006 in un’occasione molto speciale, per iniziativa del festival Batik quando abbiamo avuto la possibilità di visitare con il regista accompagnato da Enrico Ghezzi il museo di Perugia appena riaperto e inaugurato, una specie di illusione ottica, di ingresso privilegiato nei suoi film, la voce in campo del regista sempre piuttosto spiazzante di fronte a quadri di scuola giottesca, del Perugino, di deposizioni e madonne con bamnbino.

Lì si trattava di considerazioni sul dolore, sul cattolicesimo, sul punto di vista dello sguardo, sull’utilizo dell’oro. Così come in Arca russa l’Hermitage danzava sotto i nostri occhi, in Franconcofonia si può compiere un viaggio nel cuore trafitto dell’Europa, una visita nella storia e nei suoi segreti sotterranei.

E Venezia sembra essere il posto giusto per vedere il film, qui dove si trova nella chiesa di San Giovanni e Paolo non il corpo, ma la pelle del capitano Bragadin scorticato vivo dopo il lunghissimo assedio di Famagosta mentre per alcuni anni le flotte di tutta europa temporeggiavano in attesa del fatidico 1571.

«Francofonia» pone una continua serie di domande a cui non si fa in tempo a rispondere, ma c’è qualcuna a cui vorrei trovare una risposta. Quando vorrebbe risvegliare gli scrittori, penso che per ce ne sono alcuni che possono ancora parlarci direttamente, ad esempio quelli della cultura latina e greca.
Molti di loro se potessero parlarci in nessun modo potrebbero capire la situazione attuale, perché a differenza dal loro mondo noi esistiamo in una situazione di caos: troppe cose, troppe affermazioni, troppa politica, troppo poco tempo che l’uomo può passare con se stesso e addirittura la maggior parte delle persone non è più in grado di rimanere sola. Molte persone hanno smarrito quella voce interiore, per questo i film d’autore vengono recepiti con tanta fatica oggi, perché bisogna mantenere il dialogo con l’autore del film, l’autore che si rivolge a qualcuno e molto spesso l’interlocutore non c’è. Ma se quegli autori potessero parlarci, probabilmente sarebbero postulati morali certi su cui bisognerebbe insistere anche oggi.

È forse per questo che la sua voce fuori campo irrompe fin dai titoli di testa e continua per tutto il fim: come a costringere lo spettatore ad ascoltare?
Sì, per scuotere l’interlocutore e la seconda ragione perché volevo essere estremamente chiaro e trasparente nello spiegare ogni passaggio. Rendendomi conto della criticità umanista contemporanea ho cercato in questo film di rispettare la maggior trasparenza possibile, di dare le risposte, di essere chiaro, di non lasciare possibilità di equivoci o di molteplici motivazioni.

Apparentemente però lei non dà rispposte, pone domande.
Sì, perché delineando i confini della domanda indico la direzione delle risposte.

Ho trovato che il punto fermo del film, dove interagiscono moltissimi elementi è il suo studio, come elemento poetico, un luogo fermo, una nave spaziale da cui parte tutto. Come un invito allo studio, alla riflessione.
Lo studio è il posto dove passo la maggior parte del mio tempo, posso dire che passo la maggior parte del tempo lì, a parte il fatto che è il vero studio di casa mia. È lì che scrivo cose varie comprese le lettere e comunico con gli amici.

Per tornare alla voce fuori campo mentre lo schermo è una dimensione piatta, la voce crea una terza dimensione, spunto per infiniti dibattiti critici.
Penso che non sia proprio così, sono campi molto diversi quello della voce e quella della superficie «ineluttabile» dello schermo, perché la voce è spazio emotivo, quindi ha il suo volume fin dall’inizio, anche perché la voce a prescindere esiste anche se non c’è l’aria per farla propagare, è una realtà fisica, mentre lo schermo, l’immagine, va creata. Il suono esiste che noi vogliamo o no, mentre l’immagine deve essere creata. Quello che vediamo intorno a noi per quanto bello sia, non è immagine, è un’illusione, per trasformare questo evento circostante in immagine dobbiamo lavorarci, dobbiamo studiare la sua composizione e molto spesso cercare di farla muovere nello spazio e nel tempo perché il cinema come molte altre arti visive è soggetto alla fisica. La pittura esiste del tutto separatamente dalla nozione del tempo, mentre il cinema è legato al tempo di durata. È il marchio di Caino, non so se è un bene o un male, ma almeno il tempo è l’unica cosa che si contrappone alla volontà smisurata del regista. Il regista è capace di ingannare in ogni modo lo spettatore, solo il tempo è come una roccia sul suo cammino.

A Pesaro Micciché aveva portato non si sa come il proibito «La voce solitaria dell’uomo», ancora ricordiamo il giorno di quella emozionante proiezione.
Ha sollevato un problema che mi sta molto a cuore. Io vorrei rimasterizzarlo, lo stato ancora non lo ha finanziato. Sì, sono passati tanti anni, sono invecchiato, però so ancora andare in bicicletta, ma l’ottimismo astratto, goliardico dei giovani non mi appartiene. Amo moltissimo La voce solitaria dell’uomo, non perché è stato il mio esordio, ma perché sono riuscito a realizzarlo come realtà artistica. Purtroppo non ogni film realizza la qualità artistica. Tarkovskij riteneva che non tutti i film di Fellini rappresentano la riuscita artistica completa, anche se non condivido questa opinione, avessi io quel livello di Fellini.

Nel suo film si sente la realtà che irrompe oggi ai confini dell’Europa, a partire dalla distruzione dei patrimoni dell’umanità.
Un certo accerchiamento che delinea i confini del vecchio mondo (chiamiamolo così) è dettato prima di tutto dalla religione perché è l’estremismo religioso che spinge la gente a rivedere i confini e accerchiare ciò che non riconosce. Possiamo anche affermare che la vita in pace è finita, ovvero c’è l’intervallo, dopo di che questa lotta di accerchiamento andrà avanti, come a teatro dopo l’intervallo la pièce va avanti. E dobbiamo rendercene conto. Abbiamo la chance di evitare ulteriori complicazioni, ma è necessario in questo caso che la situazione venga presa in mano dai politici che abbiano valori umanistici. Dall’altra parte dobbiamo capire che una forza di aggressione lotta contro una civiltà intera. Bisogna contrapporre contro questa aggressione una forza certa per far sì che i nemici vengano annientati. Io parlo dll’estremismo musulmano che è un’ideologia potente e anche militarista, totalitaria.

L’ipotesi corrente è che ci sia bisogno di dialogo, anche se la storia dimostra che il dialogo è impossibile
Ha ragione. L’Europa occidentale ha un blocco adriatico con tanti comandanti decorati, tanti soldati. Ma cosa fanno? Perché questa forza militare esiste per contrapporsi alla Russia? Si tratta di una forza enorme, potrebbero usarla per contrapporsi all’Isis.

Anche il Papa parla del dialogo, anche lui dice che non ci si deve contrapporsi militarmente
Io penso che le forze che distruggono la civiltà devono essere annientate, con un ultimatum, perché il sistema dell’Islam è un sistema basato sull’ultimatum e non ammette dialogo. Noi lo sappiamo perché abbiamo avuto la Cecenia.