Uno scrittore alla affannosa ricerca della disciplina indispensabile a dare forma compiuta al desiderio di «narrar storie». Un fisico che quella disciplina l’aveva già trovata in giovane età, anche se tesa a elaborare una teoria definitiva alle «cose della vita e dell’universo». Il loro incontro avviene attraverso un libro, che il fisico ha scritto per spiegare il principio che l’ha reso noto anche al grande pubblico e che ha aperto la strada per il premio Nobel.

Werner Karl Heisenberg è il nome del fisico, Jerôme Ferrari è invece lo scrittore che per quasi venti anni ha coltivato l’idea di scrivere la vita del giovane brillante che nel 1927 ha formulato il principio di indeterminazione, uno dei fondamenti della fisica quantistica. A dividerli cinquanta anni, duranti i quali sono accadute tante cose: l’ascesa del nazismo, una guerra mondiale, la shoah, la costruzione della bomba atomica. Una successione terrificante di eventi che hanno visto coinvolto Heisenberg come , questa l’ipotesi sviluppata dallo scrittore francese nel libro Il principio (e/o, pp. 137, euro 14), complice. Non perché ha partecipato direttamente a quella successione di «eventi», ma perché ha preferito il silenzio di fronte la cacciata degli ebrei dalle università tedesche, all’affermazione del nazismo o con l’illusione che il programma della bomba atomica nazista non era altro che il tentativo di sviluppare un reattore nucleare.

Jerôme Ferrari è mosso dalla volontà non solo di individuare le responsabilità – morali, e non solo – di Heisenberg, ma di evidenziare l’impossibilità di pensare alla scienza come un corpo separato dalla società. Non solo gli scienziati hanno partecipato attivamente alla costruzione della bomba atomica, ma perché il loro operato è sempre all’interno di una cornice sociale, economica, politica che rende impossibile immaginare la neutralità della scienza e della sua applicazione. Illuminante è la frase sui matematici: anche loro hanno dovuto apprendere che le formule messe a punto per giocare in borsa o gli algoritmi da loro sviluppati neutrali proprio non sono. Esprimono sempre i rapporti di potere nella società.

Lo stile scelto dallo scrittore francese è quello di un diario immaginario delle lettere, delle conversazioni con Heisemberg. I due non si sono infatti mai incontrati. Ferrari ha letto sì i libri, le lettere e le biografie dedicate al fisico tedesco, ma anche le autobiografie degli altri fisici che lo hanno conosciuto – Neils Bohr, Albert Einstein, Wolfgang Pauli – per costruire, tassello, dopo tassello, il mosaico di una vita tutto sommato ordinaria. Lo scrittore francese non nasconde l’ammirazione per il fisico tedesco, quando negli anni Venti, giovane allievo di Neils Bohr, elaborava il principio di indeterminazione. Ricorda con stupore come Heisenberg discuteva e litigava con Einstein, allorquando provava a confutare il principio della relatività. Esprime tenerezza quando scrive sulla timidezza di Heisenberg e la passione per le camminate nei boschi e per la musica.

Il clima entusiasmante dei fisici non era scosso neppure dalla povertà dilagante, dal crollo dell’economia e della repubblica di Weimar, dei conflitti sociali durissimi. Heisenberg credeva che la fisica fosse una scienza pura e che nulla avesse a che fare con la vita «normale». Esprime indifferenza per l’ascesa di Hitler. È infine silente sulla cacciata degli scienziati ebrei (molti di loro spariranno nei lager), sulle leggi razziali che costringono Einstein ad abbandonare la Germania.

Jerôme Ferrari non tollera quel silenzio. Abbandona l’idea di scrivere un libro su Heisenberg. Trova infatti insopportabile che quel giovane fisico sia stato complice con il nazismo. Passa venti anni della sua vita a definire meglio per poi, periodicamente abbandonare il progetto di un libro.
La chiave di volta per farlo decidere di scriverlo sono due frasi pronunciate da Heisenberg. La prima, a commento, di un panorama che lo commuove, ribadisce la volontà di rimanere in Germania anche quando la notizia dei lager è nota ai più. La seconda è la partecipazione al programma nucleare dei nazisti per salvare qualche «isola di umanità». Frasi che fanno indignare Ferrari. Il principio di indeterminazione non coincide, scrive, con irresponsabilità.

Avvincenti sono le quindi le pagine dove Ferrari scrive delle reazioni dei fisici tedeschi dopo il loro arresto da parte degli americani. Tutti continuano a ripetersi che loro non sapevano degli orrori del nazismo e che la loro partecipazione al programma nucleare era solo per scopi pacifici. L’ipocrisia, la viltà riguarda anche i fisici. E Heisenberg, reticente sulla freddezza di Bohr nei suoi confronti. Convinto che quel panorama tanto amato è sopravissuto. Peccato che è costato la vita a decine di milioni di uomini e donne.