La semplicità difficile a farsi. È da almeno due decenni che, in Italia, sono all’opera case editrici, discografiche, cinematografiche indipendenti che vedono al lavoro tantissimi «intellettuali dai piedi scalzi» che non hanno timore di seguire strade poco battute dall’industria culturale mainstream. Scovano autori, musicisti, filmaker di qualità, lasciandogli una libertà nel loro lavoro impensabile in altri contesti. Di questo lavoro dietro le quinte, svolto dagli «indipendenti», rimane poca traccia. Da alcuni anni, tuttavia, sono stati proprio loro a prendere la parola, narrando di orari di lavoro lunghissimi, di precarietà economica, di autosfruttamento, di un regime fiscale che toglie il respiro, nonostante i redditi percepiti siano poco sopra quella soglia minima sotto la quale si è «working poor». La condizione del «lavoratore culturale» non è poi così lontana da chi vende il suo tempo a un call center, in un centro commerciale, in una fabbrica.

Nel mondo degli oligopoli

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Questa, tuttavia, è una rappresentazione ormai nota, ampiamente discussa, puntualizzata, sezionata in una sorta di autocoscienza che ha spesso nella Rete il medium privilegiato. Ne sono infatti testimoni decine di siti Internet, dove i «lavoratori culturali» si «incontrano» per chattare su quel fascinoso intreccio tra stile di vita e lavoro che è il settore degli «indipendenti», nonostante la cronica precarietà economica che li contraddistingue. Anche se i loro racconti si concludono con l’affermazione che mai rinuncerebbero alla loro autonomia.

Poco conosciuta è la breve e feroce tassonomia delle difficoltà che ogni singola impresa o cooperativa «culturale» incontra per avere una presenza sul mercato senza rimanere stritolata da veloci e potenti processi di concentrazione nell’industria culturale, discografica e cinematografica che stanno determinando, anche in Italia, un assetto oligopolistico tanto nella produzione che nella circolazione di contenuti. La fusione di Rizzoli e Mondadori ne è l’ultimo eclatante esempio. Difficoltà di distribuzione e di punti vendita, in primo luogo. Le librerie chiudono, lasciando sul campo solo pochi punti vendita nelle mani di grandi gruppi editoriali. Mentre la rete, individuata come il contesto per aggirare le barriere poste dai grandi gruppi oligopolistici, conosce analoghe limite e non riesce a diventare il canale «alternativo» per la vendita di manufatti culturali. C’è poi la questione del diritto d’autore, divenuta sempre più un dispositivo giuridico per governare il mercato, favorendo i grandi e penalizzando gli «indipendenti».

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Processi accentuati dalla crisi economica che ha portato a una riduzione «biodiversità culturale», all’interno di una dinamica che vede autori – scrittori, saggisti, videomaker e musicisti – scoperti dagli «indipendenti» catturati dalle major una volta acquisito lo status della visibilità. Dinamica, quest’ultima, che consente ai grandi gruppi di acquisire contenuti rispetto a una domanda di contenuti erratica e diversificata. E in diminuzione dato che i consumi culturali sono i primi ad essere sacrificati in un regime di crisi economica «permanente».

È in questo contesto che si colloca l’associazione Doc(k)s. Nata da una costola della casa editrice Derriveapprodi ha scelto la strada di una affiliazione «larga», aperta cioè a tutti quei «lavoratori culturali» che vogliono continuare sulla strada dell’indipendenza, dotandosi tuttavia di strumenti appropriati per continuare la navigazione con i propri vascelli ribelli. Così il numero degli «affiliati» è cresciuto nel corso di questi nove mesi del 2015. Doc(K)s ha anche organizzato seminari sulla storia recente italiana, il «Book Pride» di Milano, cioè una fiera della piccola editoria, continuando a tessere una rete che ha come nodi singoli lavoratori culturali, scrittori, saggisti, piccoli editori, librai, videomaker come quelli raccolti nelle Officine multimediali, centri sociali.

Il nuovo appuntamento, che prenderà il via domani a Roma presso Millepiani Coworking (Via Nicolò Odero 13, ore 10.30), ha per titolo «I fiori di Gutenberg» e come oggetto di analisi il libro, la sua produzione, distribuzione e vendita (il programma completo è all’indirizzo: //https://infodocks.wordpress.com/fiori_di_gutenberg/). L’elaborazione che ha portato al seminario ruota attorno a due termini: cooperazione e indipendenza.
L’indipendenza auspicata è quella dagli oligopolisti, la cooperazione non va intesa come cancellazione delle diversità, editoriali e imprenditoriali, bensì come condivisione delle risorse e degli strumenti propedeutici alla circolazione dei contenuti prodotti in autonomia.

Nello spirito del tempo

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C’è però un non detto tra gli «indipendenti». Una volta acquisito lo statuto (precario) del lavoratore culturale, c’è un pericolo che la sua figura sia declinata come una variante di quell’«imprenditore di se stesso» che il pensiero neoliberista propone come leva di una valorizzazione economica del «capitale umano» e «culturale» di proprietà del singolo. Da qui il rischio di entrare, una volta superato il confine dell’indipendenza, nel regno dell’individuo proprietario. Un rischio, ovviamente, che diventa cogente se si assume il fatto che il lavoratore culturale contribuisce anche a produrre immaginario, «senso», cioè contribuisce alla formazione di uno «spirito del tempo». Da qui la necessità di aggiungere ai due termini dell’incontro – cooperazione e indipendenza – un terzo: conflitto.
L’indipendenza può manifestare la sua «potenza» produttiva e comunicativa se è propedeutica a una contestazione dell’ordine costituito nella produzione di contenuti, puntando a dissolvere la nebbia densa e inquinante di un unico ordine del discorso.

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Solo così si può fermare la cancellazione della «biodiversità» nell’industria editoriale (in fondo i fiori di Gutemberg ai quale allude l’incontro sono la possibilità di una fioritura di iniziative culturali). E soltanto così si può cominciare a porre il problema di una fuoriuscita dalle possibilità di ricatto e precarietà che scandisce la condizione del «lavoratore culturale». Cioè quella semplicità difficile ancora a farsi.