Il denaro, il debito e la doppia crisi di Luciano Gallino (Einaudi, pp. 200, 18 euro) è la terza parte di una ricerca sulle origini della crisi e le politiche dell’austerità che si presenta sotto la forma confidenziale di una lunga lettera ai nipoti e uno spietato j’accuse contro la classe politica più ignorante e incapace in Europa: quella italiana.

La scrittura di Gallino è come un diesel: è tesa come una corda di violino verso un appello al futuro; con un martello colpisce tutti i luoghi comuni ideologici monetaristi e i grotteschi tic discorsivi di una malintesa modernità che diventano armi della politica neoliberista e austeritaria; giunge infine al giudizio politico che si fa mordace operazione di combattimento dialettico contro l’oligarchia al potere.

La trilogia composta da Finanzcapitalismo e da Il colpo di Stato di banche e governi, da leggere insieme a libri come Attacco allo stato sociale e Vite rinviate, lo scandalo del lavoro precario, trova un compimento nella definizione dei lineamenti del «pensiero critico», oscurato e rimosso dalle riforme della scuola e dell’università Moratti-Gelmini e imbastite da quel concentrato di idiozie mercantilistiche della legge «di sinistra» Berlinguer.

Una morale casalinga

«La concezione dell’essere umano perseguita con drammatica efficacia dal pensiero neoliberale – scrive con ferocia Gallino – ha lo spessore morale e intellettuale di un orologio a cucù». Ne emerge il ritratto della stupidità delle nuove classi dominanti. La stupidità è il risultato morale e intellettuale di chi ha assunto acriticamente l’idea della funzione governamentale della finanza e delle banche; del verbo divino di teorie economiche smentite dalla violenza della crisi nel 2008; della morale della «casalinga sveva» Angela Merkel che «spende soltanto quel che incassa e non fa debiti».

Stupido, oggi, è confondere le origini della crisi, addebitandole all’aumento della spesa sociale (che invece diminuirà di 17 miliardi in Italia fino al 2019) e non alla crisi bancaria che si finanzia succhiando la risorse dal lavoro vivo, dal Welfare, dall’ecosistema e dalla vita. «Non è la spesa sociale, bensì la spesa per interessi a strangolare il bilancio pubblico e a limitare il ruolo dello Stato nell’economia produttiva» scrive Gallino.

Nel libro sono ricostruiti i passaggi base dall’ancora breve, ma efferata esperienza di governo di Matteo Renzi e del suo Pd-partito della Nazione. Si procede per casi, con dati e prospettive. Prendiamo il Jobs Act: «All’epoca i disoccupati erano oltre 3 milioni, i giovani senza lavoro sfioravano il 45%, il Pil aveva perso 10-11 punti – ricorda ironicamente Gallino – E che fa il governo? Introduce nuove norme per facilitare il licenziamento riprendendo idee dell’Ocse vecchie di vent’anni. Come non concludere che siamo dinanzi a casi conclamati di stupidità».

Il renziano medio, in formato social network e da giornale «intelligente», risponderà con la pozione magica: siete gufi, oggi c’è la crescita, l’occupazione svetta anche se non ancora abbastanza, il pil aumenta, le imprese assumono con gli sgravi pagati dallo Stato. Il libro di Gallino è un cacciavite per smontare questa corazza di stagno. Ciò che aumenta è il lavoro precario; il sottosalariato, la pauperizzazione delle classi medie, le nuove forme di povertà.

È il modello «Wal-Mart»: si acquistano merci a basso prezzo con salari miserabili e lavoro a termine. Gallino racconta il mondo di milioni di working poors che, almeno in Italia, non hanno nemmeno il salario minimo, né il reddito minimo. Misure che altrove permettono un livello di sopravvivenza e, in Inghilterra, sono contrastate dalle imprese perché il conservatore Cameron ha deciso di aumentre il salario minimo in cambio della distruzione definitiva del Welfare. Chi è povero, o lavora, deve continuare a vivere in maniera indegna. E morire peggio. Senza pensione né tutele. E, se proprio ne ha bisogno, le compra. Questa è la legge, oggi.

Quello di Renzi è il «quarto governo del disastro» in Italia, dove la crisi è la peggiore di tutti i paesi europei, dopo quella greca. «Hanno manifestato la maggiore incapacità di governo dell’economia» scrive il sociologo torinese. E in più si avviano, a grandi passi, felicemente accecati, verso la catastrofe di un’economia della stagnazione dove i profitti cresceranno a dismisura e non esisterà un metro per misurare le disuguaglianze così prodotte.

Schiavi del mini-job

Nel nostro paese il «modello Wal Mart» è stato adattato a quello tedesco, «uno dei paesi più inumani al mondo», commenta Gallino. Con le «riforme» dei socialdemocratici di Schroeder ha prodotto dieci milioni di schiavi con i mini-job e una società della «moderazione salariale» che ha tagliato gli stipendi del 20%, peggiorando la domanda e favorendo la tendenza alla deflazione in tutta Europa. Quella che Draghi sta combattendo con il QE per le banche e la bolla dei titoli di stato, dopo averla prodotta.

Un’alternativa è ardua da costruire in queste condizioni. La stupidità del potere domina e prolifera tra i subordinati. «Pensatoi neoliberali lavorano giorno e notte per fabbricare un consenso collettivo intorno alla demolizione dello stato sociale» ricorda Gallino. La «doppia crisi» del capitalismo, finanziaria e ecologica, è rimossa, mentre si aspira alla vecchia, irrealizzabile, crescita illimitata dei consumi.

Bisogna costruire, per tutta la prossima generazione, le «fabbriche del dissenso». Le idee ci sono, ispirate a un «socialismo ecologico» o a un «socialismo democratico», lo definisce Gallino: riforma della finanza, rottura con il centrismo neoliberale che unisce destra e sinistra, riuso intelligente del neokeynesismo per il popolo, e non per la finanza. «Non sarà un superamento totale del capitalismo, come forse sarebbe necessario – conclude Gallino – ma un modo realistico per tentare una volta ancora di sottoporlo a un grado ragionevole di controllo democratico». Resta da capire se la ragionevolezza basterà per resistere alla sfida mortale di questo capitalismo.