Sogno, gioco, avventura, libertà. Il refrain è lo stesso ma a parlare stavolta sono i giovani.

«Costruiamo un numero fatto da under 30», ci siamo detti qualche mese fa in redazione.

Certamente non per entrare anche noi nella scia della rottamazione o perché già stanchi delle vecchie, nobili, imprese. Ma solo per capire e dare spazio a una curiosità che crediamo non sia solo nostra: la montagna, le falesie, il ghiaccio, l’indoor, visti con gli occhi dell’ultima generazione del secolo scorso (e anche di qualcuno di questo millennio), raccontati direttamente con il loro linguaggio, senza filtri giornalistici, senza orpelli, senza tentativi di aggiustamento.

IN QUESTO NUMERO li abbiamo lasciati parlare, descriversi, riflettere, cercando solo di stimolarli senza influenzarli. Per scelta a priori, il nostro lavoro di editing si è ridotto all’osso.

Quanto leggerete è autentico al 100%. I giovani autori e autrici si sono intervistati fra loro tra risate, imbarazzi, incertezze e sfide. Si sono raccontati come volevano. Abbiamo buttato un occhio al Nord e al Sud, ai «vivai», alle palestre nelle scuole, alla nazionale di sci alpinismo, all’arrampicata come strumento di formazione di un adulto «equilibrato». Con loro siamo “scesi” nelle falesie del Molise o “saliti” sui versanti del Gran Zebrù e del Parco dello Stelvio.

Guide alpine, atleti, rifugisti, arrampicatori e sassisti, tracciatori, campionesse di «dry tooling» e intrepidi «slackliner».

I protagonisti di questo numero sono ragazzi e ragazze comuni ma allo stesso tempo fuori dal comune rispetto ai propri coetanei.

Alcuni sono figli d’arte, in qualche caso atleti con una lunga tradizione alle spalle. Altri invece hanno scoperto per caso il mondo verticale, artificiale o naturale che sia. Per alcuni è uno sport, con tutti gli annessi di gare, allenamenti, diete. Per altri la roccia è una «dolce amante da accarezzare». Per altri ancora arrampicare o sciare è un lavoro.

A qualcuno la montagna ha insegnato ad avere pazienza, a sorridere, ad «apprezzare il silenzio forzato delle salite». Qualcuno sogna di realizzare «il primo 9c» o di conquistare la prima medaglia olimpica italiana nella propria disciplina. Altri infine si ripromettono di andare a mettere il naso in Verdon o in Yosemite «solo da vecchi», per vedere l’effetto che fa una via di più tiri.

QUI NON ESPRIMIAMO GIUDIZI né auspichiamo sviluppi, ma qualunque cosa siano diventati oggi gli sport in verticale o “di gravità”, l’Italia è purtroppo indietro rispetto agli altri paesi, almeno a livello di opinione pubblica o di senso comune, anche politico e istituzionale. I nostri vicini francesi e austriaci stanno costruendo esperienze importanti e consapevoli che partono dall’educazione fisica a scuola e finiscono all’aria aperta.

p.s. il prossimo numero di «in movimento» sarà un’edizione speciale. Un numero doppio da 32 pagine allo stesso prezzo. Sarà in edicola dal 1 dicembre, prenotatelo. 

I numeri precedenti di in movimento in formato pdf li puoi acquistare qui