Scottata dai marchiani errori del passato, dalle cocenti sconfitte dei partiti che tentavano vanamente di rappresentarla, dal senso di superiorità ed infallibilità che la contraddistingueva, la sinistra sociale ricomincia dalle proposte, dalle buone pratiche per unire la sua deriva atomizzata, la solitudine dei suoi componenti puntando sull’efficacia e il territorio.

Il cambio è epocale. La sfida da vincere altrettanto. Tramutare le idee in pratiche, le pratiche in battaglie che unifichino, le battaglie in politiche che vengano implementate nell’Italia del Jobs act e della Buona scuola pare se non un utopia una scommessa altamente improbabile. Sull’altro piatto della bilancia però c’è la rabbia per «una situazione sociale sempre più catastrofica», la voglia di reagire, la «necessità di mettersi assieme perché da soli, l’abbiamo capito, si perde», come sintetizza Giacomo, quarantenne bancario «sempre più precarizzato».

Nelle facce e nelle parole del migliaio di persone che si ritrova al Centro Frentani di Roma in un sabato afoso e appiccicaticcio c’è speranza e voglia di partecipazione. «Io non voto da un decennio», spiega Francesca, precaria della scuola, «non mi sento rappresentata. E oggi, per la prima volta, voglio dire la mia e cercare di rappresentare anche chi non ha il coraggio di farsi sentire». Una sorta di stati generali della partecipazione di «una maggioranza in divorzio dalla politica», come sottolinea Elena di Act.

Ai Frentani va in scena un melting pot molto particolare. I militanti del Pd ci sono, ma preferiscono rimanere in incognito e non autodenunciarsi ad una platea tutt’altro che tenera «col partito di Renzi». Di politici veri e propri se ne vedono pochi. Ci sono il coordinatore nazionale di Sel Nicola Fratoinanni e Giorgio Airaudo, venuto a salutare tanti amici della Fiom.

Se i giovani sono tanti, portano entusiasmo, metodo, rigore e buone pratiche, dall’altra parte c’è tutta una vecchia sinistra che, magari in buona fede, cerca di ricicciarsi, di usare Landini e la Coalizione sociale nell’illusione che sia un salvifico nuovo inizio in cui tornare a farsi vedere e sentire. I loro interventi però scontano l’atavico vizio della sinistra italiana: grandi principi, grandi titoli, nessuna pratica, nessuna efficacia.

E allora la svolta è proprio nell’usare vocaboli – o «paradigmi» – nuovi: metodo, risultato, efficacia.

Domenico, per esempio, che lavora alla gestione dei fondi europei («dal 2014 al 2020 saranno 80 miliardi che rischiano di finire solo sulle proposte di Confindustria») propone «un nuovo paradigma»: «Ogni idea, ogni progetto, ogni cosa che viene detta qui sia accompagnata dal suo costo, in modo tale da poterla tradurre in una proposta di delibera di un Comune o nei Partenariati che decidono come spendere i Fondi comunitari, strumento aperto a tutte le forze sociali che la sinistra nel passato ha colpevolmente snobbato».

L’esempio che fa avrebbe una valenza spaventosa: «Usare quei fondi per recuperare tutti gli alloggi pubblici sfitti». «Lo proponemmo nella tragicomica esperienza del governo Prodi: non se ne fece più niente».

Al netto di interventi stravaganti che bisogna mettere in conto quando si decide di far parlare tutti – c’è chi propone «un seminario su coalizione sociale e matriarcato» – si parla di «reale lotta alla rendita», «rilanciando e generalizzando un nuovo modello di occupazione di immobili, in cui creare esperienze non solo sociali ma anche di lavoro e di produzione». Dai ragazzi di Làbas, che a Bologna da due anni e mezzo hanno occupato un’area di 9mila metri quadrati in pieno centro (via Orfeo 46) strappandola alla speculazione immobiliare, arriva la proposta di «salutare la svolta aggressiva di Cassa Depositi e Prestiti, che sarà in mano ad un banchiere», proponendo di «sottrarre alla rendita tutti gli immobili in mano a Cpd per vincolarli ad uso sociale». Lì «la Coalizione sociale può crescere e allargare il suo consenso: spazi fisici, spazi politici, spazi riconquistati».

Guardato dalle pareti in marmo del centro congressi di proprietà dello Spi Cgil l’esempio di Podemos e di Syiza appare in qualche modo come una chimera. Si cerca «una via italiana alla partecipazione dal basso», ci si accontenterebbe di «veder discutere finalmente in Parlamento di reddito di dignità in modo non stereotipato come fanno i Cinquestelle».