È stato molte cose, nella sua vita seppur breve, Mauro Rostagno. Era nato il 6 marzo 1942. Fu giornalista, sociologo e scrittore. Leader del ’68, a Trento. Tra i fondatori di Lotta Continua e, nel 1977, a Milano, di un centro culturale chiamato Macondo, come la Macondo di Cent’anni di solitudine, intorno al quale per alcuni mesi gravitò molta sinistra alternativa. Poi, dopo un’esperienza spirituale in India, tra i fondatori, insieme alla sua compagna Elisabetta Chicca Roveri e a Francesco Cardella, della Comunità Saman, a Lenzi, nella campagna di Trapani. Era il 1981. Saman divenne presto, da centro di meditazione qual era inizialmente, una comunità terapeutica, dedita al recupero di tossicodipendenti.
Negli stessi anni, attraverso un’emittente televisiva locale, Rtc, Rostagno fu anche un duro oppositore della mafia, di cui denunciò, senza timori, collusioni e legami segreti. La sua lotta era simile a quella di Peppino Impastato. Infine, la sera del 26 settembre 1988, Mauro Rostagno venne ucciso in un agguato a colpi di pistola e di fucile, e a lungo sulla sua morte si è detto di tutto: che le ragioni fossero da cercare nei rapporti interni a Saman e che Chicca Roveri fosse complice dell’omicidio, oppure che c’entrasse Lotta Continua, perché lo stesso Rostagno era stato coinvolto nelle indagini sull’omicidio di Calabresi e avrebbe potuto rivelare qualcosa sui suoi compagni di allora. Solo due mesi fa una sentenza della Corte d’Assise di Trapani ha stabilito che la verità è un’altra, quella che da subito era apparsa a molti evidente, senza che però la si perseguisse: a uccidere Mauro Rostagno è stata la mafia, Vito Mazzara l’esecutore materiale e Vincenzo Virga il mandante.
Ora, un libro di Adriano Sofri – Reagì Mauro Rostagno sorridendo, appena uscito da Sellerio (pp. 158, euro 12) – ripercorre l’intera vicenda della sua morte; ed è un’opera lieve e poetica, se così si può dire di un libro che comincia dove una vita finisce per morte violenta. Perché lieve e poetica non è mai la morte per omicidio, e forse neppure la morte in assoluto, se non nelle sue versioni romanzesche (lieve e poetica è, ad esempio, la fine di Andreas Kartak, il santo bevitore di Joseph Roth), ma tale appare la figura di Rostagno. Ed è proprio questo che a Sofri sembra stare più a cuore, se non ci si sbaglia: restituire la purezza di un carattere.
Reagì Mauro Rostagno sorridendo è anche – e per prima cosa – il racconto del processo, naturalmente, ed è molto documentato da questo punto di vista. Ne emergono innanzitutto i profili dei protagonisti, nei loro tratti essenziali: il presidente della Corte Angelo Pellino, i giudici a latere, i pubblici ministeri, e prima ancora il capo della squadra mobile di Trapani Giuseppe Linares, cui si deve il merito di aver fatto «riaprire il processo», nel 2011, «salvandolo in extremis dall’archiviazione… dopo che per vent’anni non era stata eseguita nemmeno una perizia balistica comparativa». E ne emerge anche lo svolgimento della fase istruttoria e dibattimentale; e qui Sofri, che si vede appassionarsi al tema sotto il suo aspetto storico e scientifico, si sofferma in particolare sulla rilevanza della prova del Dna, senza la quale l’individuazione dei colpevoli non sarebbe mai stata possibile. Rostagno reagiva spesso ridendo e sorridendo alle situazioni, e sorriderebbe, osserva Sofri, anche «all’idea che, senza i ventisei anni di ritardo, del Dna non ci sarebbe stata traccia: nel 1988 la genetica forense era ai primi albori, e ai carabinieri di Trapani perfino una seria indagine balistica sembrava troppo».
In secondo luogo, il libro è il racconto di un contesto: quello in cui Rostagno viveva e si muoveva. Chicca Roveri, Francesco Cardella, la grande amicizia con Renato Curcio. Ma dove il cuore batte più forte è nelle pagine personali, anche se inferiori nel numero a quelle sul processo. Sofri non aspira alla biografia, anzi dice chiaro e tondo che chi volesse conoscere meglio Rostagno dovrebbe leggere o rileggere un altro libro, che gli ha dedicato la figlia Maddalena: Il suono di una sola mano. Storia di mio padre, scritto insieme al giornalista Andrea Gentile e pubblicato nel 2011 dal Saggiatore. Piuttosto, si tratta di pagine sentimentali, nelle quali pochi particolari rivelano il tutto; e basterebbero allora quelle che contengono la descrizione di Rostagno come di un uomo «fraterno e pieno di tenerezza, di dolcezza addirittura».
Anche la Sicilia è molto presente: se ne sente spesso il vento e se ne vedono «certi trionfi barocchi di sole nuvole e onde d’argento e blu, quando tira il libeccio e i voli dei gabbiani sembrano sassate e lo spettatore si sente gonfiare il petto come se si preparasse a volare anche lui». Ne esce così, in controluce, la descrizione di un luogo in perfetta corrispondenza rispetto a un destino individuale: un luogo, a sua volta, troppo spesso in bilico fra la dolcezza e la morte.