Scrivere racconti di fantasia e imitare i telecronisti sportivi. È così che, a 9 anni, immerso in un mondo fatto di audio libri, Javier Gallego si allenava, «senza averne coscienza», alla professione giornalistica.

Lo incontro in uno studio di registrazione di Madrid, a due passi dal quartiere di Lavapies, quando mancano cinque minuti all’inizio della seconda puntata settimanale di Carne Cruda – La repubblica indipendente della Radio, il programma web radio più seguito di Spagna.

Manuel e Rocio, due dei collaboratori del «Crudo» – il soprannome di Javier per gli addetti ai lavori – sistemano gli ultimi dettagli, mentre una luce fioca filtra dalle tapparelle delle finestre. C’è giusto il tempo di una sigaretta e una stretta di mano con gli ospiti di turno. Poi parte la solita sigla roboante.

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Javier Galledo Garrido intervista Eduardo Garzón di Izquierda Unida

Si potrebbe quasi dire che lo stile radiofonico del Crudo, nonostante le esperienze fatte alla radio pubblica spagnola (RNE) e alla catena privata SER, sia rimasto lo stesso di quando era ragazzo. In Carne Cruda, racconti fantastici che però sanno di attualità si uniscono a imitazioni satiriche; interviste con politici spagnoli si alternano a quelle con personaggi della contro-cultura europea. Il suo modo sui generis di fare informazione, lo ha trasformato in bestia nera del giornalismo classico spagnolo. Dal canto suo, il Crudo nel 2012 porta a casa il prestigioso premio Ondas (miglior programma Radio spagnolo).

Javier non ha problemi a dirsi di parte e non crede in un giornalismo neutrale. Allo stesso tempo, non risparmia critiche a nessuna formazione politica, comprese quelle che vogliono “rottamare” il Partito Popolare e il Psoe.

Lei ha definito «Carne Cruda» un programma di «mobilitazione delle coscienze». Cosa vuol dire?

Oggi la cittadinanza spagnola, come quella europea in generale, è talmente passiva che si potrebbe dire di vivere in una sorta di simulazione democratica. I media sono stati ciechi di fronte alla crisi che ha investito l’Europa nel 2008. In Spagna esiste un discorso egemonico che ha nascosto la realtà socio-politica dai primi giorni della crack finanziario fino a oggi: basti pensare a come sono state sottovalutate la crisi immobiliare e l’emergenza degli sfratti. Allo stesso tempo, la politica mentiva con le parole, capovolgendo la realtà. Ma il giornalismo ha un dovere: quello di raccontare nel miglior modo possibile la realtà, come se fosse un pezzo di carne cruda.

Cosa intende quando parla di contenuto egemonico?

In Spagna esiste un’egemonia del discorso politico che passa per i canali mediatici. È un linguaggio che viene promosso dalle élites di questo Paese. Cultura, pubblicità e media hanno costruito una narrazione solida e coerente intorno al fenomeno della crisi. In particolare, il messaggio che viene veicolato è: viviamo in una democrazia salutare, i pochi problemi si possono risolvere con le stesse misure politiche e imprenditoriali del passato. C’è una sorta di euforia, che ha prodotto un’interpretazione della crisi quale episodio accidentale, passeggero e senza colpevoli. In altri termini, non stiamo imparando dal passato.

Un esempio concreto?

Nel 2008, quando era ancora presidente della Repubblica francese, Sarkozy ha parlato della necessità di rifondare il capitalismo. Al di là dei proclami però, stava dicendo che il sistema liberal-capitalistico era stato solo scalfito e che, in fondo, rimaneva in piedi. Il discorso egemonico è quello che non mette mai del tutto in discussione il tipo di di sistema in cui viviamo e viene veicolato dalla maggior parte dei media e delle élites europee. Oggi queste élites si identificano con le politiche liberiste.

«Carne Cruda» è un programma che ha saputo continuamente reinventarsi. Che conseguenze ha avuto la crisi sul panorama mediatico spagnolo?

La nostra categoria è stata la seconda più colpita dalla crisi. I grandi media hanno licenziato decine di giornalisti altamente qualificati. Molti di questi hanno deciso di creare i propri media autonomi, vagliando diversi tipi di business. Ci sono casi emblematici come quello di El Diario, un quotidiano di informazione indipendente che viene finanziato in primo luogo dai giornalisti stessi. Partito in sordina, l’esperimento si sta rivelando sostenibile da un punto di vista economico. In termini di business model imita quello del britannico The Guardian: sebbene ci siano dei soci preponderanti, l’informazione rimane libera. Il cittadino desidera un’informazione pubblica e indipendente dai grandi poteri economici. El Diario oggi si finanzia per il 30% con il contributo dei propri lettori.

I media spagnoli otterrebbero un vantaggio dal far entrare i giovani nelle loro aziende per risolvere anche il legame con la «vecchia politica»?

La maggior parte dei giornalisti che guidano i nuovi media hanno circa 40 anni. La nostra generazione sta cercando di creare un legame tra i cittadini e le nuove forme del “fare politica” che si sono affermate in Spagna, come per esempio Podemos e Ciutadanos. Nei grandi media invece, i giovani vengono usati come “prima linea”. Ricoprono ruoli di responsabilità, ma non sono retribuiti in modo corretto. La conseguenza è che sta peggiorando la qualità del giornalismo: editing scadente, errori grammaticali grossolani, ecc. In un certo senso l’apprendista sostituisce il maestro prima che sia stato formato.

Come valuta il risultato di Podemos alle recenti elezioni?

Si tratta di un risultato spettacolare. Sono stati i vincitori morali di queste elezioni. È l’unico partito che ha ottenuto più voti di quelli previsti dai sondaggi. Sono arrivati a un passo da essere il secondo partito al posto del Psoe. Podemos ha sconfitto il partito socialista a Madrid, in Catalogna, Euskadi e Galizia: posti fondamentali nella geografia politica spagnola.

Podemos può aprire una faglia in quell’egemonia politica liberal-capitalista di cui parla?

Sì, in un certo senso lo hanno già fatto. Hanno posto fine al bipartitismo che ha governato questo Paese negli ultimi 40 anni. Ora socialisti e popolari dovranno discutere con Podemos e Ciutadanos. Per la prima volta i nostri politici sono obbligati a dialogare democraticamente fra di loro. Devono dimostrare di essere veramente democratici aprendo un negoziato per il bene del Paese. Ma la strada per soppiantare l’egemonia liberal-capitalista in Spagna ed Europa è ancora lunga. Podemos, insieme alla sinistra portoghese, greca e il Labour inglese, ha ora l’opportunità di difendere politiche sociali efficaci, creare un’economia dal volto più equo e mettere un punto alle politiche di austerity.

C’è molta instabilità in Spagna ora però…

Probabilmente ci saranno presto nuove elezioni, visti i risultati. Ma in questo scenario, è probabile che Podemos guadagnerà ancora consensi. Riusciremo a capire se sono veramente la forza del cambiamento solo quando avranno un potere decisivo.

Lei ha litigato in diretta con il leader di Podemos, Pablo Iglesias, creando molto scalpore…

Io sono un giornalista con le mie opinioni, ma non sono legato ad alcun partito. Parlo bene di cose che mi sembrano buone e in maniera negativa di altre. Purtroppo, in Spagna, se fai il giornalista, ti chiedono di essere totalmente neutrale, oppure, se hai un pensiero di parte, di legarti a un partito specifico. E se questo partito ha bisogno di appoggio – perché il momento storico lo richiede – vieni criticato dalla rispettiva fazione. Ma media e partiti svolgono due ruoli diversi nelle nostre società. I partiti devono rispondere ai cittadini. Noi dovremmo semplicemente amplificarne le richieste.

Quali sono i valori fondamentali su cui si dovrebbe basare il lavoro di un giornalista?

Indipendenza di pensiero e impegno sociale. C’è un malinteso sul concetto di neutralità. Non si può sempre dare lo stesso spazio a tutti. Per esempio, si può dare la stessa visibilità alle esigenze di un neo-nazi e a quelle di un rifugiato politico? Credo che il giornalismo sia costretto a partecipare attivamente nelle dinamiche socio-politiche utilizzando gli strumenti del mestiere. In fondo, la responsabilità del giornalista è molto vicina a quella del cittadino in quanto tale.

Siete stati uno dei pochi media ad aver dato voce al 15M quando è nato. Oggi, in Spagna, con quella che è stata definita «Ley Mordaza», si mette in discussione la diffusione pubblica di contenuti di contestazione sociale e politica. Quanto compromette tutto ciò il vostro mestiere?

Poco. Sono disposizioni che vogliono avere un effetto a monte, psicologico e auto-cautelante rispetto a chi scende in piazza. Alcuni tipi di proteste come l’escrache (che prevede il “pedinamento” di una figura politica in luogo pubblico, ndr) vengono multate. La «Ley Mordaza» penalizza, in nome dell’integrità della persona, chi riprende le forze dell’ordine.

Non le sembra giusto?

Sono stati soprattutto i freelance in strada a documentare le violenze della polizia durante gli ultimi anni. Inoltre, la legge sanziona chi organizza manifestazioni che sfociano in atti violenti. Ma come si può prevedere se una manifestazione sfocerà in un atto violento?

La Spagna è il Paese con più manifestazioni di piazza insieme alla Grecia negli ultimi anni…

Si vuole limitare l’attivismo dei cittadini. Allo stesso tempo, il calo delle manifestazioni in Spagna non è causato solo dalla “ley mordaza”: sono comparse nuove forme di rappresentanza.

Si spieghi meglio.

È sintomatico il fatto che ai tempi degli Indignados e del movimento 15M il grido di piazza fosse: «No nos representen» (non ci rappresentano, ndr). Poi è arrivato Podemos a rappresentare quelle stesse persone. Questa sovrapposizione tra movimento e partito non è per forza positiva: una cosa è l’attivismo dei cittadini, un’altra l’attività di partiti e istituzioni.

Vi definiscono come radio comunitaria e voi ne andate fieri. Non crede però che i nuovi media «comunitari», parlando per definizione esclusivamente alla propria audience, diminuiscano in realtà il livello di dialogo democratico in una società?

No. Prenda il caso del 15M: in principio era stato completamente ignorato dai media tradizionali. I media alternativi invece hanno coperto quello che era un momento di realtà sociale innegabile. Inoltre non credo che ci sia un’opposizione frontale fra media comunitari e mainstream: in realtà si compensano a vicenda. L’innovazione mediatica ha aiutato ad aprire il fronte dei media classici in un certo senso. Noi siamo un programma chiaramente di sinistra con un’audience precisa. Non abbiamo problemi ad ammetterlo, però stiamo cercando di aprire anche spazi di confronto con chi ha posizioni diverse.

Qual è il futuro di «Carne Cruda»?

Per il seguito che ha, meriterebbe di essere diffuso su un canale prioritario. È inusuale che un programma radio venga finanziato dai propri ascoltatori per il 90%. È il solo caso in Spagna. Non so quanto durerà, spero non per sempre. Credo che sia importante riconoscere il momento giusto per chiudere un’esperienza in maniera positiva.

Tornerebbe su frequenze analogiche?
Tornerei alla RNE, la radio nazionale spagnola, perché credo nel concetto di servizio pubblico.

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