Se la filosofia sia o meno una guida per la vita è forse un quesito al quale difficilmente si può rispondere con una posizione esaustiva. Anche perché la questione potrebbe determinarne delle altre ben più insidiose: che cosa si intende per «filosofia». E che cosa si intende per «vita». Ma, più esattamente: che fine ha (o che fa) la filosofia e chi si interroga su di essa. Il numero 152 della rivista «Nuova corrente», curato da Pierfrancesco Fiorato, Santino Mele e Enrico Tacchella, si concentra sul tema Filosofia: una guida per la vita? Le tentazioni di un nuovo ellenismo (Interlinea edizioni, euro 28) e traccia alcune proposte, attraverso i saggi di Ferruccio Andolfi, Diego Zucca, Franca D’Agostini, Ursula Renz, Luca Bertolino, Peter A. Schmid, Romano Màdera, Christoph Horn, Moreno Montanari, Giulio Guidorizzi, Gioachino Chiarini. La collettanea risulta piuttosto variegata per tesi e argomentazioni. Alcuni interventi si concentrano sullo statuto della filosofia, altri sulle sue possibili applicazioni. Il tema si dipana lungo diverse e spesso opposte prospettive riguardo le pratiche filosofiche. In realtà è proprio di queste ultime che si vuole discutere e lo stesso numero di «Nuova corrente» dà conto di alcune esperienze dirette.
La collettanea parte dall’assunzione di una pressante richiesta di filosofia che corrisponde almeno alla domanda di senso in un presente sempre più faticoso da decifrare. La plausibilità o meno delle pratiche filosofiche, consulenza sì o counseling no e viceversa, presenta tuttavia un taglio ambivalente. Anzitutto la differenza tra counseling filosofico e consulenza filosofica, per esempio, è un problema tutto italiano giacché le fonti bibliografiche e di studio sono esattamente le stesse. La diversità poggia invece sulle pratiche e sulla adesione o meno a delle specifiche metodologie. L’esigenza da parte di chi ne frequenta i percorsi è quella di interrogarsi sulle relazioni, per poter costruire un futuro lavoro basato sullo scambio tra consulente e consultante rispetto alle interpretazioni del mondo, alla narrazione di sé, alla ipotesi che esista una complessità in cui non si è in sovrapposizione o in opposizione ai vari indirizzi psicoterapici. Si vorrebbe piuttosto un orientamento trasformativo.
Se da un lato ci sarebbe da considerare lo stato di salute in cui versano i vari corsi di laurea in filosofia sparsi per l’Italia, è pur vero che le pratiche filosofiche spesso nascono e si permeano proprio all’interno degli stessi dipartimenti.
Pierre Hadot è il nome che ritorna più volte. I suoi «esercizi spirituali» occorrono infatti per segnalare una vicinanza o una lontananza dal concetto di una filosofia che sia intesa come modo di vivere, talvolta come terapia, pharmakon o anche cura. Nell’apertura del suo volume Exercises spirituels et philosophie antique, Hadot racconta appunto del conflitto fra la vita che bisognerebbe vivere e il quotidiano carico di costumi e convenzioni; ovvero distinguere le cose quali sono e la convenzionale visione su cui poggia la società umana. Così l’esercizio della ragione è meditazione e ogni scuola filosofica antica racconterà una forma di vita, precisata da un ideale di saggezza.
Vale la pena leggere la collettanea curata da Fiorato, Mele e Tacchella che mette in luce le contraddizioni ma anche le risorse dell’interrogazione di un tema così spinoso e al contempo necessario: quali posizionamenti cioè intendiamo assumere rispetto alla pluralità delle applicazioni della filosofia. E che senso desideriamo dare a questo nuovo scenario.