Del ruolo della Turchia in Medio Oriente e Europa abbiamo parlato con il vice ministro agli Esteri Mario Giro.

Il parlamento turco ha avviato il dibattito sulla riforma costituzionale con 10 deputati di opposizione in prigione dal 4 novembre. Perché mancano reazioni internazionali?

Reazioni ci sono già state preventivamente, già prima si era ribadito il valore dello Stato di diritto e detto che una forma ancora più forte di presidenzialismo non sembrava in linea con la richiesta di adesione della Turchia all’Unione Europea. Non c’è mancanza di interlocuzione tra i paesi europei e la Turchia.

Il governo italiano ha fatto pressioni sul governo turco?

Abbiamo sempre detto (e io, recentemente, ho incontrato il ministro degli Esteri turco) che nella nostra tradizione democratica abbiamo grande interesse a che i diritti di tutti siano rispettati e a che non si esca dal quadro dei diritti civili e politici.

Ci rendiamo conto che la situazione della Turchia è molto particolare ma la nostra interlocuzione con i turchi non ci esime, da una parte, dal fare le nostre osservazioni e le nostre critiche e, dall’altra, dall’essere solidali con Ankara sottoposta a attentati terroristici da vari mesi. Sullo sfondo sta il grande problema kurdo, nato decenni fa e che va risolto in maniera democratica.

A fine dicembre la Cassazione ha bloccato un rimpatrio verso la Turchia considerandolo un paese che viola i diritti umani. Ma l’Europa che lascia lì due milioni e mezzo di rifugiati siriani lo giudica paese sicuro, nonostante attentati e condizioni di vita al limite.

C’è un’ambiguità europea che concerne la questione migratoria. Non dobbiamo perdere la testa quando parliamo di migrazioni. Parlo di ambiguità perché in certe situazioni c’è un’agitazione politica eccessiva che può apparire come situazione da due pesi e due misure.

In realtà il governo italiano è sempre stato molto chiaro con i turchi. C’è un’amicizia storica che va al di là dell’attuale presidente, c’è un’importante presenza economica bilaterale, c’è un dibattito sui diritti umani sempre aperto perché riteniamo che certe cose siano ovviamente criticabili, c’è il riconoscimento dell’importanza geopolitica strategica della Turchia e c’è una comune lotta anti-terrorismo. Interloquiamo chiaramente con i turchi, se su certe cose non siamo d’accordo lo diciamo, se su altre lo siamo lo diciamo.

Sullo sfondo sta la richiesta turca di adesione alla Ue alla quale l’Italia è sempre stata favorevole in via di principio a patto che i turchi prendano atto che entrare significa rispettare tutta una serie di diritti. Se ci saranno modifiche legislative in senso opposto, l’Europa si allontana.

Il processo è di nuovo in stallo

È in stallo da vari mesi e non può essere sostituito dagli accordi sulle migrazioni. L’accordo è un una tantum su un problema specifico. Sappiamo quanto, sulla questione migratoria, i paesi europei non concordino tra loro ma per quanto riguarda l’Italia, nel rispetto della Turchia come grande paese in Medio Oriente, diciamo la nostra sulla questione dei diritti umani e delle minoranze.

Qual è il ruolo della Turchia in Medio Oriente per il governo italiano?

Con Ankara non siamo sempre stati d’accordo su quanto successo in Siria negli ultimi 5 anni, ma riteniamo che la Turchia sia fondamentale e inaggirabile, necessaria per la stabilità del Medio Oriente. Se dovesse importare tutta la sua instabilità, la comunicherebbe a noi: siamo sulla stessa barca. Ha aumentato la sua influenza nel mondo arabo e può essere un fatto positivo se usato per la stabilità generale, ma le ambiguità turche nella guerra siriana ci sono comunque state. Il riavvicinamento alla Russia è visto dall’Italia in senso positivo se porterà una stabilizzazione. Ha già condotto ad una tregua. Se non si può risolvere una guerra del tutto subito, va almeno gestita.