Cinquanta comuni colpiti, oltre 5mila sfollati. I numeri snocciolati ieri dalla Regione Umbria danno la misura dell’implosione della Valnerina. Si prosegue con l’accoglienza di chi è rimasto senza casa, spogliato della propria vita quotidiana e – ogni giorno di più – della speranza di ripartire. Fondamentale è la ricostruzione del tessuto economico. E centrale è la salvaguardia del patrimonio culturale che qui, accanto all’agroalimentare, è fonte di sostentamento oltre che spina dorsale dell’identità collettiva.

Da giorni la Soprintendenza si muove da una frazione all’altra per mettere in sicurezza la loro immane bellezza. Le opere d’arte da salvare sono 50mila in tutto il cratere, secondo i dati del Ministero dei beni e le attività culturali. Sul campo ci sono vigili del fuoco, esperti, ingegneri.

I danni sono seri e investono 5mila immobili di pregio che nascondono migliaia di tesori, tele, paramenti sacri, affreschi, statue, organi. Serviranno almeno 3 miliardi di euro, prima di tutto per individuarli con i droni o squadre che operano tra macerie e edifici traballanti e per metterli in sicurezza con gli elicotteri nei borghi irraggiungibili via terra.

Ogni regione ha indivuato un luogo per le opere recuperate. In Umbria è il Santo Chiodo di Spoleto, istituto che farà da deposito e sito del restauro, prima che i danni diventino irreparabili. Per ora sono 100 le opere portate qui dalla zona di Norcia. All’ingresso incontriamo la responsabile del trasferimento, la dottoressa Tiziana Briganti: «Dalla scossa di domenica 30 ottobre sono arrivate altre 48 opere, che seguono a quelle portate qui dopo il 24 agosto. Si tratta di dipinti, sculture, arredi delle chiese di San Pellegrino e Castelluccio di Norcia che coprono secoli di storia, dal ‘400 all’800».

«Da lunedì inizieremo le attività di disimballaggio e di analisi diagnositica di ogni singola opera. Saranno poi collocate in uno spazio dedicato alla conservazione. Poi, passata la fase emergenziale, saranno restaurate».

A poca distanza dal deposito c’è la sede della Coo.Bec, cooperativa nata nel 1976 e impegnata nel restauro e la manutenzione ordinaria e straordinaria di beni di interesse storico e artistico. Nel laboratorio, in camice bianco, i restauratori sono al lavoro. Intorno a loro, oggetti di ogni dimensione e epoca: altari, paramenti, tele, altari, statue lignee e in cartapesta.

«Realizziamo pronti interventi su opere recuperate dopo il sisma del 1997 su appalto della diagnostica dei Beni Culturali – ci spiega il direttore tecnico, Antonella Filiani – Provengono da Norcia, da Santa Rita e dalla Castellina, ovvero la rocca fortificata cinquecentesca che ospita il museo. Perché dopo il sisma del 24 agosto abbiamo dovuto compiere un primo trasferimento dalle chiese che avevano già riportato dei danni».

Una tempistica fortunata? Santa Rita è crollata con la scossa del 30 ottobre. Ma in molti si chiedono perché non si sia intervenuto in modo strutturale dopo il terremoto di fine agosto. Torna di nuovo lo spettro dell’improvvisazione, contro la necessaria prevenzione.

Dopo il sisma del 1997, nel 2001, venne imbastito un accordo di programma quadro per i beni culturali che prevedeva interventi diffusi in previsione delle emergenze: oltre al consolidamento e al restauro dei beni danneggiati, si progettavano un database del patrimonio di tutto il territorio, la formazione professionale, gli interventi anti-sismici. Un sistema da costruire in tempo di pace ma che rimane incompleto.

Oggi si lavora per salvare il salvabile. «Qui ci occupiamo dei pronti interventi – continua Filiani – Non restauri veri e propri ma conservazione e riassemblaggio dei pezzi. Abbiamo tra le mani un patrimonio importante, sia dal punto di vista storico che identitario. Conserviamo 600 unità inventariali, per un totale di circa 1500 pezzi. Inoltre ci occupiamo delle attività di informatizzazione dei dati delle singole opere».

Dal laboratorio ci spostiamo nel magazzino in cui le opere fanno il primo ingresso nella cooperativa. Per evitare di infestare quelle a cui si sta già lavorando, quelle appena arrivate passano per una sala in cui vengono disinfestate dagli insetti xilofagi. Una volta riassemblate e recuperate, le opere finiscono nel terzo deposito, climatizzato, in attesa della riconsegna.

«I danni riportati con l’ultimo sisma sono importanti. La volontà è il recupero totale ma dobbiamo essere consapevoli che non riavremo mai le chiese di prima. E al momento il problema è che le opere mobili sotto le macerie non possono essere recuperate se prima non si mettono in sicurezza gli edifici. Norcia è in ginocchio, non c’è una chiesa che sia ancora in piedi».