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Avendo visitato la mostra Bologna dopo Morandi 1945- 2015 in corso a Palazzo Fava, a Bologna, risulta lampante che tra l’artista e la città non ci sia stato, né c’è alcun rapporto sensibile profondo. Il titolo che recita «dopo Morandi» con la data 1945 può ingannare: in realtà, il «dopo Morandi» iniziò nel 1964, quando molti credettero che il Morandi morto fosse Gianni, cantante assai più popolare e simpatico, e fu vera, ignorante commozione.
Giorgio, l’artista era piuttosto schivo e ingeneroso. I giovani che gli si affidarono non ebbero da lui che poco; nessuno lo ricorda prodigo, ma chiuso in sé, persino nella guida intellettuale. Appariva come imbronciato, insoddisfatto e forse timoroso. Pochissimi ne hanno seguito le tracce.

Questa mostra vuole allacciarsi idealmente a una precedente, che si concludeva verso il 1945, anno fortemente significativo, anche se forse non per la pittura. Per l’attuale va a finire che quella di Morandi diventa quasi un’assenza. Renato Barilli, il curatore, pare suggerirci che egli non abbia più rilievo di Guidi (che a Bologna insegnò) del quale ci sono due quadri alle spalle dei due di Morandi. Poi inizia il rosario dei bolognesi più o meno doc dal dopoguerra ad oggi. Romiti, Bendini, Pozzati, Ontani sono quelli che più attraggono l’attenzione del curatore, assieme a Gajani e Manai.

Avendo raccolto i pezzi da mostrare soprattutto tra le opere in possesso della Fondazione Carisbo e del Mambo, oltre qualcosa tra collezionisti locali, la mostra non offre inediti significativi. Non intendeva farlo e non lo fa. Barilli, il curatore, è uno studioso giustamente molto apprezzato. Mentre il suo pensiero, cioè gli scritti, è fertile e ascoltato, la sua pratica suscita spesso furibonde critiche, anche radicalmente avverse. In relazione alla vita culturale della città, si potrà discutere se sia stata più contagiosa la presenza di Guidi o quella di Matta o se Claudio Parmiggiani non meritasse di scivolar dentro questa mostra; ma il gioco del «c’è e non c’è» non è importante né divertente se non per gli addetti ai lavori.

Barilli chiude il percorso di questa rassegna suggerendo di condividere la moda attuale, che viene privilegiando il protagonismo femminile, per ora solo potenziale. Senza voler dimenticare qualche figura, le presenze femminili significative e storiche in Bologna ci pare si limitino a Pinuccia Bernardoni e a Mirta Carroli. Però nelle ultime due sezioni della mostra intitolate «Nuova Officina» e «Videoart Yearbook» la musica cambia e gli autori al maschile diventano minoranza di fronte a Eva Marisaldi, Sabrina Mezzaqui, Sissi, Alessandra Tesi, Sabrina Torelli, Karin Andrsen, Alessandra Andrini, Anna Borsari, Silvia Camporesi, Patrizia Gambi, Anna Rossi e un paio d’altre che, come Audrey Coianiz e Monica Cuoghi sono solite firmare assieme a un compagno di lavoro con cui fan gruppo, coi nomi di Bismati e di Cuoghi Corsello.