Solo Michele Schiavino poteva tornare sull’argomento «pianeta Pasolini» da un’angolazione non conformista e opportunista, con un’incursione sul rapporto forma/contenuto per (ri)sollevare una destabilizzante riflessione. Dopo la sbornia di omaggi a tutto campo al grande intellettuale/poeta/regista friulano che negli oltre quarant’anni dalla morte hanno visto moltiplicarsi convegni, ristampe di tutte le sue opere, rielaborazioni teatrali di qualche suo romanzo, retrospettive di tutti i suoi film, celebrazioni rituali annuali nella ricorrenza della sua morte, puntuali e accademici inviti a riflettere sulla sua attualità e sulle sue lucide profezie, Schiavino intellettuale, cineasta, critico e organizzatore di eventi salernitano irregolare e non-riconciliato, da sempre refrattario a iniziative convenzionali e istituzionali, si è inserito in quell’intercapedine tra il Pasolini recuperato e adottato da tutti, ufficializzato, «normalizzato» e quello ancora nascosto, sotto certi aspetti frainteso, quello della provocazione e dello scandalo reali (non da agitare in varie occasioni nell’ottica di una trasgressione borghese oggi assorbita ed esibita).
E con il documentario di poco più di mezz’ora Ad Memoriam Per Pasolini – Appunti per un film futuro 2005/2016, Schiavino vuole proprio mettere a fuoco la forza rivoluzionaria del Pasolini più incompreso, guardato con sospetto e poi subito, quello della metastoria, dell’utopia e dell’ucronia più complesso e meno codificabile rispetto all’intellettuale militante delle battaglie civili e politiche. Si tratta di un work in progress che prende la forma di una viaggio nello spazio e nel tempo iniziato a Matera nel 2005 e passando per Montemarano, Ravello e Napoli si «conclude» a Casarsa nel Friuli paese di nascita di Pasolini nel 2016. Un viaggio scandito dalle note di Cratere di Paolo Fresu e dalle testimonianze di personaggi-chiave del mondo reale e di finzione pasoliniano: il fotoreporter e attore de Il vangelo secondo Matteo Domenico Notarangelo, il ricercatore etnografico Luigi d’Agnese, il Masetto del Decameron Vincenzo Amato, Michelina Coscia e Iolanda Pica, contadine degli anni ’50 che folgorarono Pierpaolo con le loro voci, il cantante popolare dell’epoca Giovanni Coffarelli, il regista e sceneggiatore Ivo Barnabò Micheli, l’amico storico di Casarsa Gigion Colussi.
Schiavino organizza con il montatore Giovanni Cerri il materiale con un incisivo piglio sperimentale accostando (ma spesso per farle scontrare) e alternando immagini di repertorio, sequenze in bianco e nero, fotogrammi, interviste realizzate negli anni ’80, rari frammenti (anche quello di una partita di calcio tra il circo Orfei e gli attori tra i quali giocava anche Pasolini con il suo morbido tocco di palla), registrazioni di ieri (di Alan Lomax nel 1955) del carnevale di Montemarano e della «Zeza» utilizzate nel Decameron e riprese degli stessi eventi nel 2006-2009, qualche trasfigurazione underground, voci fuori campo su schermo nero anticipando le immagini successive con effetto straniante sull’asse Straub/Godard.
Poco più di trenta minuti prelevati da oltre 20 ore di girato come «appunti per un film futuro». In realtà Schiavino si trova ad affrontare un’ «opera aperta» che gli suggerisce/lo costringe ad un eterno, fisiologico work in progress,con periodiche incursioni sul rapporto pasoliniano tra il colto e il popolare ma nella declinazione bergsoniana-deleuziana che a lui più interessa: il rapporto tra «materia e memoria», cioè tra la parola e il gesto, tra la voce e il corpo.

La presentazione di Michele Schiavino

Ad Memoriam/ Per Pasolini è un viaggio attraverso luoghi e persone cari a Pier Paolo Pasolini, iniziato nel 2005 nel trentesimo anniversario della morte del poeta. Quell’anno era venuto a mancare Ivo Barnabò Micheli, un regista autore negli anni ottanta di un film importante sul regista di Accattone, A Futura Memoria.
Cercando nel mio archivio ritrovai un’intervista audio che avevo fatto ad Ivo nel 1985. Fu riascoltando la voce di Barnabò Micheli su quel nastro che mi venne voglia di fare qualcosa. Un film? Degli appunti, da lasciare a futura memoria. Mi colpirono le ultime parole registrate su nastro da Barnabò Micheli : «Io credo che questa radicalità di Pasolini, per cui non c’è spazio in questo momento in un’Italia che tende più al compromesso, a tutti i livelli, e a un’omologazione anche intellettuale, credo che ciò che rimane, sia dei suoi testi che della sua biografia, è un insegnamento: lottare in prima persona per ciò in cui si crede veramente. E questo significa non solo lottare in prima persona ma anche rischiare, mettere in gioco se stessi senza la falsa illusione che qualcun altro può risolvere le nostre contraddizioni e il nostro rapporto con la società in cui viviamo. In questo senso la solitudine di Pasolini diventa sempre più grande, ma in senso positivo».
Risalgo da Matera, set del Vangelo secondo Matteo nel 1964, poi Ravello, «è qui che vorrei morire» confesserà il poeta, Napoli, «ultimo baluardo contro la stronza Italia» dirà mentre gira Il Decameron nel 1970. Montemarano, Mercogliano, Sant’Arsenio, sono alcuni luoghi delle musiche popolari che accompagnano le scene e le situazioni del Decameron: frutto della ricerca dell’etnologo americano Alan Lomax che nel ’55 registrò insieme all’etnomusicologo italiano Diego Carpitella.
Pasolini utilizza in blocco questa ricerca nel suo film senza citare mai la provenienza di quei brani. Quei canti, quelle voci, quelle serenate, tarantelle, tammurriate, si sposano perfettamente con la fine di quel mondo, quella nostalgia per qualcosa che non esiste più: il mondo millenario, contadino, amato dal poeta. Questa musica, questi frammenti di film mi hanno portato in Friuli, a Udine e a Casarsa, sulla tomba del poeta. «quando di primavera le foglie mutano colore io cadrò morto sotto il sole che arde…» Ad Memoriam/ Per Pasolini.
(michele schiavino 2 Novembre 2016)