«Se il ragazzo arrestato a Palermo non è il supertrafficante Yedhego Mered, sarebbe un fatto gravissimo. Un orrore per l’Europa che chiude le porte ai rifugiati».

Sul caso dell’eritreo catturato a Khartum e sull’ipotesi di un «clamoroso scambio di persona», interviene Don Mussie Zerai, l’«angelo dei profughi», candidato al premio Nobel per la Pace nel 2015 per l’aiuto dato a migliaia di migranti africani e voce della comunità eritrea nel Vecchio Continente.

Don Zerai, che vive tra l’Italia e la Svizzera, è nato ad Asmara, come il giovane estradato in Italia, da dove è fuggito nel 1992, appena diciassettenne, per rifugiarsi nel nostro Paese. È stato il primo a denunciare la tratta degli schiavi nel Sinai ed è fondatore e presidente dell’agenzia Habeshia, in prima linea nell’accoglienza. Il suo personale numero di cellulare è diventato il «telefono rosso» per i migranti in difficoltà durante la traversata nel Mediterraneo.

Padre, che idea si è fatto del ragazzo arrestato dalla Procura di Palermo? È il «Padrino dei barconi» Mered?

Non è semplice. In tanti dicono che non è lui, mentre la Procura insiste nel dire che si tratta di Mered. So che è stato rinviato a giudizio. Ma mi chiedo, chi stanno processando? Sono sicuri che si tratti di lui prima di passare la palla ad un altro grado di giudizio? Spero che i magistrati abbiano ragione. Ma se un rifugiato sta pagando al posto di un trafficante sarebbe il colmo per la giustizia europea.

I pm dicono che abbia avuto dei contatti con i trafficanti.

Ma questa è una cosa normalissima per i rifugiati. In Eritrea il governo non rilascia passaporti agli uomini al di sotto dei 50 anni e alle donne al di sotto dei 40. E anche se lo facessero, con le leggi europee, nessuno di loro otterrebbe un visto per l’Europa. Gli eritrei sono costretti a contattare degli intermediari o degli uomini che lavorano per i trafficanti se vogliono fuggire. Non hanno alternative.

Ecco, l’Europa. Da anni lotta contro un atteggiamento di chiusura.

Lo dico da anni a Bruxelles. Se vogliamo liberarci dei trafficanti, se vogliamo evitare sofferenze e drammi, se vogliamo porre fine ai morti nel Mediterraneo, l’Europa deve cambiare. Sono leggi restrittive come quelle in atto in questo continente, leggi che impediscono i ricongiungimenti famigliari, che non consente a questa gente di ottenere il più banale dei visti, è questa chiusura che genera indirettamente un business milionario nelle tasche dei trafficanti.

Ma se l’Europa non cambia, cosa può fare la giustizia?

È giusto lottare contro i trafficanti di uomini. Ma spesso le intercettazioni non bastano. Prima di consegnare un uomo alla giustizia, dovremmo assicurarci che sia veramente lui. Soprattutto se a rischiare una condanna sbagliata e ingiusta è un rifugiato che cercava protezione in Europa.