L’allarme lanciato via Internet da Giorgio Parisi, anche sulle pagine del manifesto di ieri, non è caduto nel vuoto. Dopo le quarantamila firme raccolte dalla petizione online, anche l’assemblea convocata alla Sapienza per far sentire dal vivo la voce dei ricercatori è stata assai partecipata. «C’è più gente che per le onde gravitazionali», conferma chi cerca di affacciarsi in aula Amaldi, al dipartimento di Fisica della Sapienza. In effetti sono oltre in quattrocento, più altri trecento collegati via streaming, ad ascoltare ricercatori e politici convinti che il governo Renzi non abbia segnato alcuna discontinuità con quelli precedenti, nella politica della ricerca.

Un successo di comunicazione confermato da uno che se ne intende, il decano della divulgazione Piero Angela. Applauditissimo dai numerosi studenti e ricercatori precari, ha però invitato a non esagerare con la prudenza: «Diversamente da altre forze sociali, non siete considerati un interlocutore dal governo. Forse finora siete stati troppo cortesi?». In effetti, la ricerca italiana riesce spesso a entusiasmare, soprattutto quando si parla di onde gravitazionali e particelle, ma nelle leggi di stabilità raccoglie poco.

Il governo Renzi ha anche cercato di cavalcare i successi dei ricercatori italiani (spesso ottenuti all’estero) per rinverdire un qualche orgoglio nazionale. Finora, per lui e per il ministro Giannini, l’operazione si è rivelata un boomerang: il mondo della ricerca sembra non gradire questa strumentalizzazione se poi lo stesso governo prosegue nella politica dei tagli.
Proprio Adalberto Giazotto, uno degli ideatori di Virgo, il laboratorio che insieme ai cugini americani di Ligo ha individuato le onde gravitazionali, e Fabiola Gianotti, direttrice del Cern di Ginevra, hanno vouto partecipare via Skype all’assemblea per chiarire che non si tratta della lamentela di pochi fannulloni.

I dati lo dimostrano, dice Arianna Montorsi (docente al Politecnico di Torino) con poche, chiarissime slide: «I ricercatori italiani, in media, conquistano ciascuno una volta e mezzo più finanziamenti europei dei loro colleghi». Dunque, non hanno certo paura delle procedure di valutazione: le boicottano, come sta accadendo in molti atenei perché serviranno soprattutto a giustificare i nuovi tagli alla ricerca pubblica. Che senso ha «competere», se il governo stanzia 92 milioni di euro per i progetti di ricerca di interesse nazionale, dieci volte meno della Francia? Da noi perdono tutti, è una lotteria.

I finanziamenti perduti non sono svaniti nel nulla, avverte Parisi. Sono serviti a finanziare altro. Ad esempio, l’Istituto Italiano di Tecnologie (IIT) di Genova, un ente pubblico di diritto privato che in dieci anni ha già ricevuto un miliardo di euro. All’IIT Renzi ha affidato anche lo Human Technopole, il centro di ricerca che sorgerà negli spazi lasciati dall’Expo milanese, assistito da oltre un miliardo e mezzo di euro pubblici per il prossimo decennio. «L’IIT ha avuto così tanti soldi che ha potuto accumulare un tesoretto da 400 milioni di euro investiti in fondi bancari», denuncia Francesco Sylos-Labini, citando un calcolo analogo della senatrice a vita Elena Cattaneo.

Allora bisogna ascoltare la replica di Francesca Puglisi, senatrice Pd, venuta qui sperando di raccogliere qualche applauso con promesse immaginifiche. «Come ha fatto Obama, anche il governo Renzi creerà una cabina di regia per le politiche della ricerca, in cui ascoltare la voce dei ricercatori in prima persona».
Il pubblico rumoreggia: la «cabina di regia» ricorda troppo l’ennesimo film. Non invitato, prende allora la parola Michele Sugarelli, studente di dottorato e attivista dei collettivi: «Basta con le passerelle, questo è il governo contro cui siamo già scesi in piazza per difendere la scuola e il diritto allo studio».

La senatrice se ne va – «c’è da votare una fiducia» – e lascia la poltrona bollente a un altro dem, Walter Tocci, più ascoltato nelle università che nel suo partito. Francesco Sinopoli, segreteria della Federazione dei Lavoratori della Conoscenza Cgil, conclude che «col cappello in mano non si ottiene nulla. Ci vuole una mobilitazione». E stavolta gli applausi arrivano anche via streaming.