Il Ministero per i beni, le attività culturali e il turismo (Mibact) attraversa un momento oscuro: in meno di un anno il suo personale di ogni grado – dai semplici funzionari ai dirigenti e perfino un ex ministro – si è trovato implicato in pesanti indagini. Si profila una mutazione genetica preoccupante: dalla sua istituzione nel 1974, il Mibact era riuscito a tenersi alla larga da scandali di questo tipo. Quali siano le cause di quello che appare un contagio corruttivo appariranno chiare ripercorrendo i fatti degli ultimi mesi, cercando di capire come la riforma in atto di questo dicastero potrebbe influire e le possibili soluzioni per evitare che il nostro patrimonio finisca nella melma delle prassi più opache.
L’escalation. Le avvisaglie risalgono all’ottobre 2013, quando viene arrestato Francesco Pernice, accusato di aver truccato gli appalti per il restauro di dimore storiche, tra cui la reggia di Venaria, in Piemonte, dove era soprintendente ai beni architettonici. Ad aprile 2014, l’accelerazione: un avviso di garanzia viene consegnato a Carla Di Francesco, direttrice regionale dell’Emilia Romagna, per la ricostruzione post terremoto in Emilia. Avrebbe favorito la ditta dove lavora il suo compagno Giuliano Mezzadri. Il 4 giugno l’inchiesta veneziana sul Mose arriva a una svolta e tra le richieste di arresto figura anche quella per Giancarlo Galan: è la prima volta che è reclamata una misura cautelare per un ex ministro alla cultura. Il 22 luglio il Parlamento dà il via libera e Galan va in carcere ma nel frattempo, il 17 giugno, era stato arrestato Luciano Marchetti, alto dirigente del Mibact divenuto braccio destro di Bertolaso nella ricostruzione post terremoto di L’Aquila, finita sotto la lente degli investigatori. Oltre a Marchetti, finisce agli arresti anche una semplice funzionaria, Alessandra Mancinelli: passano appena quattro giorni e tocca a un’altra funzionaria, assistente archeologa della soprintendenza per i beni archeologici del Lazio, accusata di episodi di concussione, insomma richiesta di danaro per le autorizzazioni edilizie.
Il contagio. Dai grandi progetti, con dazioni che avrebbero raggiunto le centinaia di migliaia di euro nel caso di L’Aquila, alle misere mazzette per costruirsi la veranda: la corruzione sembra dilagare. Fermo restando la presunzione di innocenza, le garanzie, il diritto alla difesa, i fatti emersi dalle inchieste profilano una prassi opaca nella gestione del nostro patrimonio culturale.
Allora dove, come e quando è avvenuto il contagio? Sebbene il ministero ne fosse rimasto fuori, a ben vedere scandali inerenti i beni e le attività culturali negli ultimi dieci anni non sono mancati, ma in generale hanno riguardato gestioni straordinarie o commissariali, in cui il Mibact svolgeva un ruolo laterale o forse collaterale.
Esempio di scuola è stata la gestione delle celebrazioni per il 150esimo dell’unità d’Italia, affidata alla Protezione civile e passata ai disonori della cronaca con l’inchiesta sul cosiddetto «sistema gelatinoso» del 2010. Il restauro del San Carlo di Napoli, la risistemazione del Museo archeologico di Reggio Calabria, la costruzione del nuovo Teatro di Firenze e così via: nessuna gara d’appalto è stata condotta regolarmente. Al di là dei risvolti penali lo Stato si è trovato a pagare pesanti risarcimenti alle ditte che hanno fatto ricorso contro gli appalti farlocchi della cricca. Proprio nelle gestioni straordinarie e commissariali – che con le tante deroghe alla normativa sono terreno di coltura ideale per le prassi più opache –, il virus è potuto attecchire anche al Mibact, come dimostrano le plurime inchieste e i tanti indagati anche dei periodi di commissariamento a Pompei. E si resta francamente interdetti di fronte le troppe, deroghe di cui gode l’attuale Grande Progetto Pompei.
Il caso Marchetti. Si potrebbe osservare che l’organismo era predisposto ad accogliere il virus: l’attuale riforma del Mibact, derubricando le Direzioni regionali a centri di spesa senza poteri decisionali, ma con mansioni di controllo, sembra essere una possibile reazione, anche se questo tipo di divisioni burocratiche spesso finiscono per creare infiniti conflitti.
Tuttavia, la vicenda di Marchetti la dice lunga anche in altro senso. Dirigente molto discusso per alcune sue scelte – basti ricordare l’ascensore sul Vittoriano –, il suo nome era già apparso nell’inchiesta sulla Protezione civile del 2010. Marchetti, quando era direttore regionale Mibact del Lazio, figurava nella cosiddetta lista Anemone, in quanto affittuario a canone assai conveniente di una casa di Propaganda Fides sita in via del Governo Vecchio, restaurata a titolo grazioso proprio da Diego Anemone. Per soprammercato il progetto della ristrutturazione, pagato da Anemone, portava la firma dell’architetto Federica Galloni, che allora di Marchetti era una sottoposta e poi, a sua volta, è divenuta direttore regionale del Lazio. Una situazione a dir poco imbarazzante, da cui tuttavia non si è concretizzata una notizia di reato. Anche così, se un dirigente, cosciente o meno della loro gravità, ha queste frequentazioni è proprio necessario sia messo a guidare la ricostruzione di L’Aquila come vice commissario, oltre che come commissario alla Domus Aurea, in entrambi i casi con poteri e deroghe straordinari? È evidente che si è trattato di una scelta politica miope.
La cura. È anche in questo tipo di scelte che una politica culturale trova la sua autorevolezza, che né i governi di centrodestra, né quelli tecnici hanno mostrato possedere: per l’attuale ministro Dario Franceschini è una occasione d’oro, visto che ad horas dovrà fare una moltitudine di nomine in molte direzioni generali. Commettere gli errori del passato equivarrebbe ad accettare che anche al Mibact la corruzione da fatto patologico diventi fisiologico.