Pubblicato da Gallimard nel 2003, Incidente notturno (Einaudi «Supercoralli», traduzione di Emanuelle Caillat, pp. 115, euro 17,50) conferma, ancora una volta e con la puntigliosità di un notaio, il talento di Patrick Modiano nell’azzerare (per ciò che lo riguarda) ogni nozione di cronologia. La sua scrittura non conosce evoluzione o sviluppo, strappi inattesi o curve pericolose e improvvise. Se non sembrasse un gioco di parole o un paradosso, si potrebbe dire che egli corre su un circuito rettilineo che tuttavia lo riporta sempre al punto di partenza.
Accade così anche al narratore senza nome di questo racconto quando, dopo un piccolo incidente d’auto, si mette alla ricerca della donna che lo ha investito, il cui volto gli pare di riconoscere, depositato e dormiente in un bugigattolo della memoria, lontano, in una stagione remota della vita. «Chissà perché», comincia a pensare, «ora associavo quella donna a una casa in cui avevo trascorso un breve periodo della mia infanzia» e crede, vuole che l’incidente avvenuto in una piazza deserta di Parigi rappresenti uno «choc benefico», una «cesura». Da qui in avanti si mettono in moto quelli che sono gli elementi, stilistici e strutturali, di una fenomenologia ben nota e collaudata da Modiano a cominciare dall’esordio, nel 1968, con La Place de l’Étoile. Infatti, per coloro i quali si siano trovati a seguire fin dall’inizio, e con una certa dose di fedeltà, l’opera narrativa del francese Modiano (classe 1945) – e anzi proprio a partire dagli anni settanta, quando per Rusconi, con triennale regolarità, uscirono I viali della circonvallazione (1973), Villa Triste (’76) e Via delle Botteghe Oscure (’79) – nessun nuovo titolo può veramente rivelarsi come una sorpresa.
Sorprendenti, semmai, continuano a essere le costanti o, si potrebbe addirittura dire, le fissazioni di un autore che non deraglia mai dal proprio clima e dalla propria andatura, quasi che quel vascello affollato di silhouette e di fantasmi contenga carburante a sufficienza per attraversare un oceano infinito dentro un orizzonte in potenza illimitato e ripetitivo, mai scosso da alcuna turbolenza atmosferica. Una citazione tratta da Stendhal e posta in esergo al romanzo Perché tu non ti perda nel quartiere (Einaudi, 2015) spiega al meglio la ragione essenziale di una simile condizione. In essa si afferma: «Non posso restituire la realtà dei fatti, posso solo rappresentare l’ombra» – che è poi l’asse portante di una poetica tutta raggrumata attorno al brusio del passato, un passato (l’occupazione tedesca di Parigi, ad esempio, o la guerra di Algeria) destinato a restare, sebbene sul punto di sciogliersi e di rivelarsi, rigorosamente misterioso, chiuso nello scrigno di una memoria imprecisa, incline alla rimozione, indistinta, inafferrabile, svaporante in tracce e filamenti che tali rimangono. Basta, al narratore (che di solito, ma non necessariamente, è uno scrittore la cui età coincide con quella dello stesso Modiano), una vecchia rubrica rispuntata fuori dal fondo di un cassetto, un taccuino fino ad allora mai riaperto, il ritaglio di un giornale, una foto ingiallita, la telefonata inattesa da parte di uno sconosciuto, un nome che riaffiora da un tempo che pareva cancellato oppure, ancora, come appunto in Incidente notturno, un volto di donna intravisto tra la folla, un volto che ne ricorda un altro; basta questo perché la macchina della memoria si metta in moto e l’indagine abbia inizio dentro uno spazio di tempo che si dipana per tappe a ritroso, dilatandosi a fisarmonica, aprendosi in direzione del passato e chiudendosi infine a deludere il presente, lasciandolo più vuoto (direbbe Raymond Chandler) di una piscina vuota. Invece, dentro questo riaffiorare di figure dai contorni indistinti e condannati a un’opacità di fondo circa la loro vera attività e la loro vita reale (si tratta di spie? di cospiratori politici? di piccoli malviventi? di quale natura sono i loro traffici?), minuziosamente e in forma ossessiva viene registrata la topografia di Parigi, cuore perenne dei romanzi di Modiano, delle sue strade, dei suoi sobborghi, dei suoi quartieri.
Pure, tra la folla che riempie i boulevard e le grandi piazze, fa cortocircuito un sentimento di immobilità e di sospensione. Quei quaderni sgualciti, quegli elenchi di nomi e di vecchi indirizzi chiamano un passato che non risponde o risponde solo in parte e allora ecco lunghe teorie di appartamenti ormai vuoti e abbandonati, di numeri di telefono ormai disattivati, di caffè e di bistrot i cui gestori sono cambiati o non ricordano nulla. La colata lavica si è fermata, pietrificandosi e raggelandosi. Ma se il presente reclama il passato, questo secondo minaccia il primo. E lo minaccia con la reticenza, con l’elusività, con le risposte mancate. Anche Incidente notturno – diciassettesimo titolo italiano di Modiano – conferma dunque i dati già accertati e registrati di una poetica che non si preoccupa mai di indurre a un sospetto di postura, compresa la presenza, sempre, di una struggente e perduta figura di donna. Struggente, ma non di necessità innocente o meno ambigua.
Un intellettuale di destra, Alfredo Cattabiani, il primo a portare in Italia i romanzi di Modiano, assumeva i tratti di questo universo narrativo dentro una costellazione di solitaria alterità e alterigia nei confronti del modernismo e citava i nomi di Paul Morand e, soprattutto, di Drieu la Rochelle e di Roger Nimier. Intuizione affatto banale, indicazione affatto improvvida. «Mi ci è voluta quasi una vita intera per tornare al punto di partenza»: così, altrove, Patrick Modiano, a significare un destino e una poetica.