Nessun potere speciale e niente procedura accelerata per l’approvazione della legge delega al governo sulla riforma della Protezione civile. Nel giorno in cui migliaia di cittadini provenienti dalle zone terremotate (e innevate) del Centro Italia hanno sfilato, baciati dal sole, nelle vie della capitale fino a Montecitorio (dove una delegazione è stata ricevuta dalla presidente della Camera Laura Boldrini e da alcuni parlamentari), per chiedere interventi immediati sull’agricoltura, casette di legno che non siano «baracche» e un decreto da «tempi di guerra» per evitare la morte dei piccoli comuni colpiti, ci ha pensato il capo dell’Anac Raffaele Cantone e a smentire le parole di Paolo Gentiloni domenica a Che tempo che fa.

«Valuteremo con l’Anac e con il Parlamento se conferire poteri speciali alla Protezione civile», per eliminare ogni pastoia burocratica, aveva detto il premier. «Penso di poter escludere» che ci sia la necessità di agire con mani più libere per affrontare l’emergenza terremoto, ha ribattuto Cantone ieri a margine della presentazione dell’Indice della corruzione 2016. La Protezione civile, ha spiegato, ha già le mani libere: «Le norme previste nel codice dei contratti le consentono di fare tutto in assenza sostanzialmente di criteri e regole particolarmente rilevanti o quanto meno con una deregulation amplissima».

Tempi più lunghi pure per l’approvazione in Senato della legge delega, che dovrà passare prima per il voto nelle Commissioni Affari Costituzionali e Ambiente. Ma in questo caso le polemiche sull’operato della Protezione civile hanno ottenuto l’effetto di scongelare il testo, approvato alla Camera e sepolto da mesi a Palazzo Madama senza essere calendarizzato. Ora la legge che darà mandato al governo di rivedere le norme sulla Protezione civile, potrebbe finire in Aula a breve.

Nel frattempo l’esecutivo, chiamato a rispondere dei black out di elettricità che per una decina di giorni hanno flagellato le zone terremotate e colpite da fortissime nevicate, ha annunciato una «commissione indipendente che, nella massima trasparenza e in coordinamento con l’Autorità per l’energia», verificherà «sia la corretta esecuzione dei piani d’investimento per la gestione, sviluppo e manutenzione delle reti elettriche sia la capacità di reazione alla situazione che si è verificata e all’adeguatezza delle misure messe in campo». Lo ha detto ieri pomeriggio il ministro dello Sviluppo Economico, Carlo Calenda, chiamato alla Camera a rispondere al question time. «Verrà richiesto ai concessionari del servizio elettrico di rivedere i piani di ammodernamento delle reti sulla base di parametri tecnici che consentano di fronteggiare situazioni meteorologiche, fino ad oggi ritenute del tutto anomale, e con l’obiettivo di aumentare la capacità di resistenza anche in condizioni eccezionali che purtroppo non sono più eccezionali», ha spiegato il ministro, sottolineando che dopo «questi approfondimenti saremo in grado di stabilire se e in che misura esistano responsabilità e negligenze delle società concessionarie».

Terna ed Enel rimangono nella bufera: nei prossimi giorni saranno sentite dalla Commissione Attività produttive e da quella Ambiente e Territorio della Camera, mentre il Codacons ha annunciato un esposto alla Corte dei Conti e sta studiando una class action. Il presidente Carlo Rienzi si è appellato al premier Gentiloni chiedendogli di intervenire «per tutelare i diritti delle famiglie rimaste al buio, obbligando Enel e i gestori elettrici a risarcire senza oneri per la collettività». Il problema, infatti, è che «la normativa vigente prevede che, in caso di prolungate interruzioni nella fornitura dell’energia elettrica, l’indennizzo spettante a ciascuna utenza possa raggiungere al massimo i 300 euro. Questi risarcimenti, però, sono pagati dalle aziende solo se “non si verificano periodi di condizioni perturbate”, o attribuite a “causa di forza maggiore”, per i quali entra in gioco il Fondo per eventi eccezionali. Questo significa che l’Enel e le aziende energetiche potrebbero non sborsare nemmeno un euro per i gravi disagi patiti dalle popolazioni di Marche e Abruzzo, e il costo degli indennizzi, peraltro ridicoli a fronte dei pesanti disservizi subiti dagli abitanti, ricadrebbe interamente sulla collettività, che finanzia il Fondo attraverso una quota delle bollette della luce».