Una lezione di storia lunga quarant’anni, spiegata con chiarezza ai più giovani che non erano ancora nati e agli adulti assai distratti, in tempi di rimozione storica degli orrori che hanno caratterizzato le dittature militari nell’America Latina degli anni ’70 del secolo scorso. Un continuo alternarsi tra Roma e Santiago del Cile, i palazzi del potere politico guidati da Andreotti, infastiditi da una questione sportiva che via via assume un rilevante carattere politico interno e internazionale, come la finale della Coppa Davis del 1976 da disputarsi tra Cile e Italia. I palazzi del potere politico cileno, guidati dalla giunta militare di Augusto Pinochet, che dopo aver rovesciato con un golpe il governo di Unidad Popular di Salvador Allende, torturato e ammazzato migliaia di militanti di sinistra, vuole utilizzare la vetrina della Coppa Davis per rafforzare l’immagine della dittatura militare. Mario Cresto-Dina, vicedirettore di Repubblica, delinea quel quadro di vasta mobilitazione della sinistra, una delle poche occasioni in cui si è mostrata veramente unita, contro i crimini di Pinochet, a partire da un evento sportivo come la Coppa Davis. Nel libro Sei chiodi storti, (66than2nd, euro) con una scrittura asciutta e chiara Cresto-Dina descrive gli stati d’animo di ogni singolo giocatore dei quattro tennisti che alla vigilia dell’incontro rappresentarono la squadra azzurra a Santiago del Cile, Adriano Panatta, Corrado Barazzutti, Paolo Bertolucci e Tonino Zugarelli, i conflitti, le contraddizioni, i rimorsi, le minacce, la voglia di partecipare e vincere la Coppa Davis, che tutta la stampa di sinistra aveva definito con tono sprezzante “l’insalatiera”. Descrive con chiarezza, l’atteggiamento furbesco del governo Andreotti con sostegno esterno del Pci, partito che conduce una dura battaglia in parlamento, ma poi sottobanco dà il lasciapassare agli azzurri per Santiago del Cile, salvando capra e cavoli. Le pagine di Sei chiodi storti raccontano l’incapacità dei parrucconi del potere sportivo, Federtennis e Coni, di gestire la vicenda, il totale asservimento al potere politico, rappresentato da Evangelisti, braccio destro di Andreotti e presidente della federazione pugilato. La polemica spinse perfino Piero Ostellino ed Eugenio Scalfari, a duettare dalle colonne del Corriere e di Repubblica, a prendere una posizione, il primo a favore della neutralità dello sport e della decisione che l’Italia giocasse nel Cile insanguinato di Pinochet, mentre il secondo usa toni duri: ”A guardar bene gli charmes discrètes de la bourgeoisie altro non sono stati che la capacità borghese di tagliare la persona in tanti spicchi, in ciascuno dei quali di volta in volta fosse possibile ritirarsi per difendere il proprio “particulare”. Ora è proprio questa capacità che è entrata in crisi. È possibile difendere ancora la propria legittima voglia di giocare una partita di Coppa Davis anche in Cile, riparandosi dietro l’affermazione che lo sport non c’entra con la politica? Ma quell’uomo che andrà a giocare laggiù, che starà fermo sull’attenti e nel saluto della bandiera e degli inni di quel paese, che sarà premiato da “quella mano”, è un uomo intero o un muscolo che fa da sostegno a una racchetta? Via, caro Ottone, vale la pena che il tuo giornale celebri a giorni alterni il sodalizio con Pasolini se il suo messaggio è stato così poco capito da consentirvi di sostenere ancora un concetto tanto bolso qual è quello della neutralità dello sport?”. In parlamento, va ben oltre Luciana Castellina, allora deputata di Democrazia Proletaria, cartello elettorale della sinistra extraparlamentare:” Questo Parlamento è pieno di fascisti. La decisione del governo rappresenta una vittoria di Pinochet e segna un passo indietro rispetto alla rottura dei rapporti diplomatici con in Cile”.

Cresto –Dina riporta gli stati d’animo dei tennisti, dopo la conquista della Coppa Davis: “Al nostro rientro in Italia fummo ignorati, il Cavalierato ci venne consegnato quasi di nascosto, come se la nostra vittoria fosse stata una vergogna, come se fossimo tornati stringendo una coppa rubata. Nessuno ebbe l’onestà di riconoscere l’impegno profuso e i sacrifici fatti dalla squadra per guadagnarsi la finale, venimmo liquidati come ragazzi ricchi e viziati che con quel successo avevano lucrato un aumento sui contratti con gli sponsor. Un giudizio che ancora adesso mi amareggia”.

Due mesi prima della finale di Coppa Davis, il governo Andreotti, che sosteneva la neutralità dello sport rispetto alla politica, varò un pacchetto di provvedimenti che si abbatte sulle difficili condizioni di vita degli italiani, come il blocco graduale della contingenza per gli stipendi superiori ai sei milioni di lire annui, il ritocco di cento lire al litro della benzina, la supertassa sulle auto diesel, l’aumento dal trenta al cinquanta per cento della cedolare secca sui dividendi dei titoli azionari. Le Brigate Rosse ammazzano, il Pci non vuole irritare gli americani, che potrebbero favorire una soluzione politica come il Cile di Pinochet, e sostiene con “la non sfiducia” il governo Andreotti. Di quei campioni, scandagliati da Cresto-Dina nel profondo dell’animo, compreso il capitano Pietrangeli, definiti dai loro coetanei “viziati, borghesi e fascisti” resta ben poco, la gioia per la conquista della Coppa Davis e forse la sensazione di essere stati utilizzati per una vicenda più grande di loro.