Il caso scoppiato con lazzeramento contemporaneo della guida creativa e manageriale di Gucci porta allo scoperto la difficile situazione in cui si trova attualmente il sistema della moda. Il 12 dicembre la proprietà, il gruppo Kering, ha annunciato che il Ceo, Patrizio Di Marco, termina il rapporto il 31 dicembre, e il direttore creativo, Frida Giannini, resta fino alla sfilata dellinvernale 2015 a febbraio. Il 28 luglio scorso, con il titolo Moda sull’orlo di una crisi di nervi, ManiFashion si è occupata della crisi di orientamento del settore e, tra laltro, si diceva che «In Italia il gossip informato parla di una sostituzione imminente ai vertici amministrativi e creativi di Gucci», voci che hanno trovato conferma molti mesi dopo. Ci si potrebbe fermare a discutere sulle dinamiche di una tale sostituzione di coppia (Giannini e Di Marco sono anche compagni di vita), ma come già si concludeva allora, «A vincere è solo il mercato».

La sostituzione dei massimi vertici di Gucci, infatti, appare legata a un cambio di strategia del marchio, nato a Firenze 93 anni fa e acquisito dal gruppo francese (all’epoca PPR) nel 1999, perché sembra che il successo massificato del prodotto ne abbia ridotto il fashion appeal. Sul caso, lanalista di Exane BNP Paribas Luca Solca si è affrettato a dichiarare che «Il ruolo del lusso è quello di vendere una promessa di esclusività. Il successo commerciale rischia di compromettere la brand equity», cioè il valore stesso del marchio.

Il che non riguarda solo Gucci perché, negli ultimi anni, il successo commerciale è spesso arrivato grazie alla riproposizione di prodotti poco innovativi ma molto riconoscibili, mentre oggi è proprio il mercato a richiedere esclusività. Questa analisi, che è condivisibile perché dovrebbe essere la regola di un settore che fa della creatività il carattere stesso della sua esclusività, arriva in ritardo. La responsabilità, però, non è solo dei creativi ma molto di più del management che negli ultimi anni ha incoraggiato e imposto la massificazione dei marchi attraverso un’aggressiva strategia di marketing, più che pretendere una progettualità sul prodotto.

Ora l’interrogativo è sulla non facile sostituzione di Frida Giannini. Ma mentre si sprecano i rumors sul nome del successore, François-Henri Pinault, Ceo di Kering, dovrebbe decidere che cosa deve essere Gucci. Cioè, se tornare tra i leader delle tendenze moda, come ai tempi di Tom Ford che dal 1990 al 2004 ha trasformato un marchio di pelletteria in una griffe, e quindi andare verso l’innovazione; o se ritornare a rappresentare un marchio di accessori, come ai tempi del suo fondatore Guccio Gucci, e quindi andare verso la conservazione.

La crisi di nervi della moda è, quindi, conclamata e l’ormai quotidiana decapitazione di Ceo e designers sta scrivendo pagine che qualcuno potrebbe leggere anche nel loro risvolto esilarante, se non fosse che questa crisi di identità potrebbe risolversi in uno tsunami sull’occupazione mondiale nel settore.

manifashion.ciavarella@gmail.com